L'«antispecialista» Noske di Giorgio Pestelli
L'«antispecialista» Noske L'«antispecialista» Noske Il vagabondo della musica SE ti capita di conoscere qualche collega tedesco, specie delle generazioni meno giovani, è solo que Istione di tempo; basta aspettare, e prima o poi scatta come una trappola la solita domanda: «Was ist Ihre Spezialitàt?» («Qual è la Sua specializzazione?»). L'imbarazzo e lo smarrimento in cui resto impigliato davanti all'inquisitore di turno mi fanno ogni volta pensare al Walther dei Maestri cantori wagneriani, quando gli chiedono se alla gara poetica canterà materia sacra o profana; e lui impennandosi e farfugliando risponde che è d'amore che canterà, d'amore e nient'altro, decidano loro di che materia si tratti; e l'esaminatore freddo e duro come un palo: «Per noi, soggetto profano». Anch'io potrei rispondere così: nel mio lavoro la mia specialità è l'amore, il turbamento, ben noto a tutti i trattati d'amore, che producono in me alcune musiche che mi toccano in fondo all'anima; ma intuisco, troppo chiaramente per aprire bocca, la delusione che ne avrebbe il mio interlocutore, il quale credeva di fare la conoscenza con un tecnico specializzato, un sodale della corporazione musicologica, e invece trova solo un amoroso, uno spasimante d'invenzioni artistiche; e anche lui, come mastro Kothner, scuotendo la testa non potrà che dire: «gilt uns weltlich», roba profana per noi. Anche per questa ragione, per evitare di capitare sotto il tiro della fatale domanda, ai convegni internazionali della mia disciplina cercavo subito d'individuare Frits Noske (facilissimo: pipa in bocca, barba e capelli candidi, come crescono solo agli olandesi): l'illustre storico e critico della musica scomparso qualche mese fa, a poca distanza dalla traduzione italiana del suo libro più importante, ThcSignifterandtheSignified, ora edito da Marsilio con il titolo Dentro l'Opera - Struttura e figura nei drammi musicali di Mozart e Verdi. Con lui si poteva stare tranquilli: troppo liberi da premeditazioni erano stati i suoi interessi, perché si curasse delle specialità settoriali e maniacali così comuni nella recente storiografia artistica. Noske aveva esordito nel 1954 pubblicando in francese la sua tesi di dottorato, La melodie frangaise de Berlioz à Duparc; era poi passato a lavorare sulla produzione fiamminga del Rinascimento, e poi a Mozart, Verdi e Wagner, sempre alternando riflessioni su musiche notissime con ricerche su forme o epoche del tutto sconosciute (Saints andSinnm, il suo ultimo libro,- studia il «dialogo latino barocco», quasi ignoto a tutte le storie della musica). Ha insegnato nelle Università di Leida e Amsterdam, ha tenuto corsi nei principali atenei europei e americani, profittando dell'occasione unica che offre tuttora l'accademia, pur con tutti i suoi difetti: la possibilità di controllare il proprio pensiero esponendolo alle giovani generazioni di studenti; scriveva con vivacità di stile, era socievole e curioso di tutto. Grande frequentatore di concerti e di teatri, Noske sapeva che il «testo» di un'opera in musica non era quello scritto in partitura ma quello rappresentato in scena; a Parma, dove aveva a lungo risieduto, era divenuto per qualche tempo una figura famigliare alla cittadinanza: tanto che un pomeriggio d'estate, mentre stava seduto a un caffè di piazza Garibaldi davanti a un colossale bicchiere di orzata, fu riconosciuto da una schiera di loggionisti e fatto segno a una manifestazione di simpatia perché con la sua autorità si adoperasse a rinsaldare il prestigio del Teatro Regio. A dare una idea del contenuto di Dentro l'opera serviva di più la traduzione letterale del titolo originale, // significante e il significato; nel 1977, quando il libro uscì a L'Aia in lingua inglese, la teoria dei segni si era ormai estesa dalla linguistica a tutte le discipline e stava coinvolgendo anche la critica musicale, che proprio nei saggi di Noske doveva trovare uno dei pochi esempi solidi, anche se parziali, di applicazione; dopo quindici anni il saggio testimonia la sua resistenza alle mode culturali e quindi la sua fondatezza. L'impiego di metodologie ispirate alla semiotica, sopra tutto sulle tracce delle opere di Ch. W. Morris e di Ch. S. Peirce, non si risolve infatti per Noske in una chiave magica, ma una tecnica analitica come altre, anche se in certi casi più adatta di altre. Nei saggi contenuti in Dentro l'opera, lo studioso olandese parte dalla distinzione fondamentale fraplot, cioè tutto quanto è favola, intreccio, accadimento esteriore e drania, cioè movimento interno, scoperta dell'uomo sotto la maschera: ora, il mezzo che fa emergere il drama sotto il plot è appunto la musica, con l'interferenza dei suoi piani strutturali, le ricorrenze tematiche, le reminiscenze, le allusioni, le citazioni esplicite o nascoste; con la parentela dei segni musicali (selezionati da un orecchio sensibilissimo) Noske cerca di cogliere, sotto il tempo astratto della vicenda, la durata reale del dramma. Il capitolo sulla «Figura musicale della morte», un topos che circola ampiamente in Italia e Francia nel Sette e Ottocento, può essere considerato un potente incentivo a ricerche di «iconologia musicale» ancora agli inizi; nei saggi su Otello, Boccanegra, Don Carlos, la drammaturgia verdiana si costruisce nella ripetizione e manipolazione di formule in sé neutre, attraverso connotazioni graduali portate all'autocoscienza. In fondo, anche Noske aveva avuto la sua «specialità», ma così generale da vanificare la tremenda domanda a bruciapelo: la sua passione era scoprire ogni volta come fa la musica a essere significativa; e chi considera non secondario il problema del significato musicale, o, come si diceva un tempo, di «come la musica esprime le idee», troverà sempre molte cose da imparare nei suoi libri. Giorgio Pestelli
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