In corridoio tra due poliziotti

In corridoio, tra due poliziotti... In corridoio, tra due poliziotti... Le ore più lunghe del «compagno Ercoli» RA il 16 o il 17 ottobre del 1941. Come tutti i giorni arrivai alle dieci all'albergo Lux, che era diventato il mio posto di lavoro. Dopo aver presentato il mio lasciapassare con la foto e un timbro particolare che veniva cambiato ogni mese, mi avviai tranquillamente verso l'ascensore. Fatti pochi passi, con mio grande stupore, fui fermata da un ufficiale in uniforme e armato di pistola che mi chiese i documenti. Con calma, molto attentamente, si mise a studiare il mio lasciapassare, dopo di che mi invitò ad aspettare perché doveva fare qualche controllo. Era un atteggiamento del tutto inconsueto, che mi mise in agitazione, tanto più che la situazione a Mosca era molto tesa. Io stessa ero stata fermata tre volte per la strada dalle pattuglie che effettuavano il controllo dei documenti. In quei giorni erano stati evacuati molti comunisti stranieri. Avevo visto lo sgombero di una famiglia di ebrei romeni. Se mi ricordo bene si chiamavano Sadetzki, ma forse non era il loro vero cognome. A quei tempi molti vivevano sotto lo pseudonimo del partito o sotto un altro nome. All'improvviso vidi il compagno Ercoli. Camminava lungo il corridoio in modo apparentemente sciolto ma aveva le mani dietro le schiena ed era accompagnato da due uomini in uniforme. Il mio capo sembrava tranquillo, ma ormai lo conoscevo abbastanza bene per capire che era successo qualcosa di insolito. Aveva la cravatta messa male e non si era fatto la barba. Uno dei militari portava in mano la borsa del compagno Ercoli. Sembrava una scena tratta da un film muto. Accennai un saluto, volevo correre verso di lui, chiedere che cosa stesse succedendo, ma l'ufficiale che parlava al telefono mi bloccò, con determinatezza anche se educatamente: «Restate calma al vostro posto». Malgrado le circostanze, non mi passò neanche per la mente che stavo assistendo ad un arresto. Tanto più che il compagno Ercoli, appena mi vide, cercò di incoraggiarmi: «Mademoiselle Nina» talvolta scherzosamente si rivolgeva a me in questo modo «occupatevi della posta!». Lo guardavo allontanarsi insieme con i suoi accompagnatori, senza capire niente di ciò che stava accadendo. Nel frattempo la hall dell'albergo si era riempita, ma pareva che nessuno si fosse accorto di nulla. Come pa;«va che nessuno prestasse attenzione a me. Aspettai più di dieci minuti, poi facendomi forza, decisi di chiedere che cosa dovevo fare. Il dezurnji, che conoscevo bene e che mi aveva in simpatia, telefonò a qualcuno per chiarire la mia posizione e mi accompagnò cortesemente all'appartamento del compagno Ercoli. La stanza era apparentemente in ordine, tuttavia notai che molte cose non erano al loro posto e che qualcuno aveva sposta- to i libri sugli scaffali e frugato nelle carte disposte sulla scrivania. Anche la piccola cassaforte era stata sigillata. Il dezurnji mi informò che dovevo mantenere un assoluto silenzio sull'accaduto e mi chiese gentilmente di controllare se tutto era in ordine. Le cose personali del compagno Ercoli erano al loro posto, anche se messe in modo diverso. Inoltre mancava la prima stesura del discorso preparato per un programma di Radio Mosca. Forse era dentro la cartella che avevo visto in mano ad uno dei militari che scortavano il compagno Ercoli. Mi ordinarono di restare in camera e di aspettare senza toccare nulla. Ma non mi lasciarono sola. Il dezurnji rimase con me e cominciò a porgermi domande, che riguardavano soprattutto l'intenzione del compagno Ercoli di andarsene ed il modo in cui intendeva farlo, «con l'apparato» o «attraverso la stazione radio del Komintern» di cui era un fisso collaboratore, incaricato dei commenti per l'Italia. Nonostante lo spavento e la tensione che cresceva dentro di me, riuscii a rispondere alle domande. Raccontai quello che sapevo e cioè che il compagno Ercoli non aveva alcuna intenzione di lasciare Mosca. Anzi, in quei difficili giorni mi aveva detto di aver fatto la richiesta di essere inviato al fronte oppure nelle retrovie del nemico per un lavoro di diversione. Mi aveva detto inoltre che le voci sulla capitolazione di Mosca erano una provocazione organizzata dai servizi tedeschi che avevano mandato i loro agenti nelle vicinanze di Mosca e nella capitale. Mentre parlavo, uno sconosciuto in divisa militare era entrato nella stanza. Mi rassicurò, dicendo di non preoccuparmi e di non dare peso a tutto ciò che stava succedendo. La situazione a Mosca era molto complessa e pericolosa, diceva, e bisognava prendere tutte le precauzioni. Poi mi chiese se, negli ultimi tempi, il compagno Ercoli aveva avuto contatti con persone di nazionalità tedesca, comprese quelle residenti al Lux. Risposi che era da escludere nel modo più assoluto. «In tal caso, di che cosa ha parlato il compagno Ercoli con Otto Iuleevic Schmidt?» mi chiese il militare sconosciuto. Rimasi sorpresa. In primo luogo non sapevo che il compagno Ercoli conoscesse personalmente il famoso esploratore polare, e poi non avevo mai visto Schmidt da noi, in albergo, mentre sapevo benissimo che il compagno Ercoli lasciava il Lux in macchina, solo per recarsi alla radio. Inoltre non mi era mai passato per la mente che Otto Iuleevic Schmidt fosse tedesco. L'ultima domanda riguardava gli «umori del compagno Ercoli». Risposi che aveva una fiducia assoluta nel compagno Stalin e credeva senza riserve nella vittoria dell'Armata Russa e di tutta l'umanità progressista. Ad un tratto ebbi la sensazione che le mie risposte potevano essere d'aiuto al compagno Ercoli. Era ovvio che c'era stato un errore, un malinteso... Come se avesse letto nei miei pensieri, lo sconosciuto osservò che gli «organi competenti» conoscevano la straordinaria implacabilità del compagno Ercoli. Poi mi disse di andare a mangiare. Rividi il compagno Ercoli soltanto il giorno dopo. Ci incontrammo la mattina nella hall dell'albergo. Mi fece la proposta inconsueta di «uscire per respirare l'aria fresca». Era vestito con cura e si era fatto la barba. Tuttavia si intuiva che aveva passato una nottata difficile, sembrava infatti molto stanco, quasi estenuato. Uscimmo per la strada e ci dirigemmo verso un grande palazzo, abitato da tanti artisti del teatro tra i quali il grande Ivan Nicolaeevic Moskvin e la mia attrice preferita, Alla Tarasova. Con un gesto amichevole, il compagno Ercoli mi prese a braccetto poi, abbassando la voce per non farsi sentire, cominciò a spiegarmi che eravamo in guerra e la situazione stava diventando sempre più diffìcile. «L'Unione Sovietica è circondata dai nemici ed è quindi necessario prendere tutte le precauzioni ed effettuare tutti i controlli. In simili circostanze, questo è un modo di procedere obbligatorio». Non disse una sola parola su quello che era successo, ma ormai avevo capito che lo avevano arrestato, trattenuto per molte ore e alla fine liberato. «Davvero, non è successo niente di straordinario» continuava a rassicurarmi, avvertendo la mia preoccupazione. «Probabilmente non ho imparato ancora il russo e qualche volta mi esprimo in modo che fa nascere sospetti», aggiunse scherzosamente. Nina Delnova Bocienina Qui accanto: Nilde lotti, compagna di Togliatti nel dopoguerra

Luoghi citati: Italia, Mosca, Unione Sovietica