Mancino è stata solo la mafia

Mancino: è stalli solo la mafia Mancino: è stalli solo la mafia Non crede all'intervento dei servizi segreti LA TESI DEL MINISTRO ROMA ENTRE da Caltanissetta, per voce del procuratore della Repubblica giungevano inquietanti voci di innaturali commistioni, nella strage Falcone, tra mafia e «appoggi esterni» riconducibili anche a pezzi deviati delle istituzioni, dalla tribuna del Maurizio Costanzo Show il ministro dell'Interno Mancino, il capo della Dia De Gennaro e il sociologo Pino Arlacchi, con convinzione unanime, attribuivano a Cosa nostra la piena titolarità di «cervello» e «braccio operativo» della strage. Questa la sintesi delle analisi: «E' stata la mafia: ciò è quanto siamo riusciti ad accertare con buon margine di sicurezza. Il resto attiene al campo delle ipotesi». Un'occasione speciale quella di ieri sera al teatro Parioli. Prendendo le mosse dal successo sull'indagine Falcone, i tre ospiti si sono concessi al conduttore e ai giornalisti in sala, affrontando sia l'argomento Capaci che quello più spinoso dei Servizi. Ed è avvenuto anche con una perfetta scelta di tempo questo faccia a faccia, quasi a voler bilanciare la «rumorosa» conferenza stampa del procuratore Giovanni Tinebra, svoltasi con la significativa assenza dei rappresentanti dei vertici dello Stato. E' stato Gianni De Gennaro, pungolato da Costanzo, a spiegare al pubblico come si è arrivati al «gruppo di fuoco» ora sotto il peso dei provvedimenti giudiziari. Una spiegazione che ha portato il direttore della Dia a sostenere, senza mezzi termini, che «non ci sono allo stato elementi che possano far ipotizzare una matrice diversa da quella mafiosa». De Gennaro ha detto che il sistema investigativo messo in campo si è basato proprio su quello che ormai viene riconosciuto come il «metodo Falcone». «Sono state - ha ripetuto l'investigatore - le nozioni messe insieme quando il giudice lavorava a Palermo, è stata l'esperienza e la conoscenza maturata in quegli anni che ci hanno posto nelle condizioni di inquadrare il contesto in cui maturò la strage e risalire ai personaggi che si sono mossi all'interno di quel contesto». Il ministro, che non ha mai ammesso la possibilità di una prevalenza, nella strage, di interessi estranei a Cosa nostra, ha ribadito il concetto: «Chi ritiene la mafia non all'altezza di operazioni come quella di Capaci, non conosce la potenzialità offensiva del crimine organizzato. Qui non siamo di fronte a quattro rubagalline comandati da un contadino semianalfabeta e inoffensivo. Basta guardare a tutto ciò che ruota attorno a Cosa nostra». Ha chiuso il prof. Arlacchi, sostenendo che domandarsi se a Capaci fu «solo mafia» equivale a generare l'equivoco che altri «organismi abbiano potuto imporre scelte a Cosa nostra». «Non credo - ha aggiunto Arlacchi - ad un omicidio su commissione, ad un Totò Riina che prende ordini da un agente deviato dei servizi o da qualche politico disperato». Gianni De Gennaro ha poi concesso qualche «chicca» ad uso dei cronisti in sala. Ha rivelato che già il collaboratore Pino Marchese li aveva messi in condizione di avvicinarsi al «gruppo di fuoco». Ma quando gli è stato chiesto se tra i pentiti che hanno aiutato gli investigatori vi sia anche quel Totò Cangemi, «capofamiglia» e quindi in grado di descrivere la «zona alta» di Cosa nostra, De Gennaro si è destreggiato riuscendo a non rispondere. Ha solo ammesso che «se fosse vero, il pentimento di Cangemi sarebbe indicatore di uno scricchiolio al vertice di Cosa nostra». La serata era iniziata con uno sfogo accorato di Nicola Mancino nei confronti deH'«imbarbarimento della lotta politica» e dei giornali che «mi hanno coinvolto nello scandalo Sisde senza che nessuno mi avesse chiamato in causa. E' stato scritto di 75 milioni, poi di uno stipendio di cento milioni al mese: nessuno, né imputati né testi, ha mai fatto dichiarazioni del genere. Da chi hanno preso, i giornali, questi particolari inesistenti?». «Se mi dimetto? Ma neanche per sogno! Ora più che mai devo difendere il mio onore». [f. 1.1.1

Luoghi citati: Caltanissetta, Capaci, Palermo, Roma