I fasci del femminismo latino

Le donne nel Ventennio tra conquiste e arretramenti: una studiosa ricostruisce una storia di paradossi Le donne nel Ventennio tra conquiste e arretramenti: una studiosa ricostruisce una storia di paradossi I fasci del femminismo latino «Ora mi emancipo e piaccio al Duce» EA donna? «Che la piasa, che la tasa, che la stia in casa» ammoniva Pio X all'inizio del secolo rifiutando di sostenere il Movimento femrrùnile cattolico. Gli ci volle poco però per convincersi che il voto delle donne anziché «un salto nel vuoto», come andava ripetendo Giolitti, poteva essere un mezzo per arginare l'avanzata socialista e «difendere l'integrità della famiglia». Oltre a piacere, tacere e stare in casa le spronò dunque ad «allargare il raggio d'azione» e nel 1908 diede loro la sua benedizione. Non troppo diversa, e anzi con esiti molto più frustranti, fu l'utilizzazione della donna elaborata dal fascismo vent'anni dopo come rivela un bel volume dell'americana Victoria de Grazia che sta per uscire da Marsilio. In Le donne e il regime fascista, proseguendo un'indagine cominciata con Consenso e cultura di massa nell'Italia fascista (Laterza), la studiosa ricostruisce la politica di governo degli anni 19221945 che in Italia affrontò per la prima volta la «questione femminile» e mette a fuoco un pezzo di storia di cui finora conoscevamo slogan e immagini di facciata ma non le linee portanti. Come negli altri Paesi, anche da noi le donne erano in fermento già a cavallo del secolo ma i governi liberali le avevano trascurate. Le impiegate e le operaie del Nord, la cui giornata era stata ridotta dalla legge Carcano del 1902 a «solo» 12 ore, avevano ingrossato la Lega fondata vent'anni prima da Anna Maria Mozzoni con obiettivi radicalmente egualitari, le socialiste si erano mobilitate legando la questione femminile a quella sociale e se le cattoliche si erano associate contro la minaccia laica, di divorzio e aborto innanzitutto, le borghesi avevano fondato il CNDI (Consiglio nazionale delle donne italiane) di ispirazione patriottica. Tuttavia la benedizione del Papa non era bastata, e neppure essere utilizzate come ausiliare o sostituire sul posto di lavoro gli uomini al fronte era servito per ottenere il sospirato suffragio alle elezioni del 1919. Molte speranze si erano riversate allora sul nascente fascismo. Ma con quali esiti? Mussolini, che dalle braccia e dall'acculturamento della femminista socialista Angelica Balabanoff era passato tra le raffinate grinfie della più individualista contessa Sarfatti, dopo aver promesso a grar. voce il suffragio ferriminile, prima ne progettò un accesso limitato a decorate di guerra, vedove capofamiglia, diplomate e donne con un'imposta sul reddito di 100 lire annue, poi, nel 1926, si tolse dall'imbarazzo eliminando addirittura le elezioni. D'altronde, all'artefice dei fasci femminili, Elisa Myer Rizziol, che chiedeva una rappresentante nella direzione del partito, il duce fece sapere che «le donne sono sufficienti per un'ora di spasso, ma non per un'epoca di calmo ed equilibrato lavoro». E in quello stesso 1926, la riforma del diritto di famiglia contenuta nel famigerato codice Rocco che ribadiva disparità e subordinazione della donna, spazzò via qualsiasi illusione di miglioramento dello status della donna. Quanto al femminismo, considerato zitellesco, fuori moda e ferocemente scoraggiato, s'era disperso o convertito alla Rivoluzione fascista. Nel programma dei gruppi femminili, reso pubblico nel gennaio del 1922, però era chiaro il loro ruolo subalterno, sociale e non politico: partecipare a riunioni e raduni, guadagnare consenso con attività caritative, fare propaganda e proselitismo. Salari di fame e lavoro nero Intanto le crocerossine, postine e tramviere, le operaie dell'industria bellica e molte impiegate erano state rimandate a casa, altre venivano sfruttate con salari di fame o col lavoro nero, le più dovevano far quadrare i magri bilanci diventando maestre di «sana parsimonia», oltre a sfornare un figlio dopo l'altro. «La forza sta nel numero», ripeteva il Duce che nel giro di un ventennio voleva portare a 60 i 40 milioni di italiani. Gli avrebbero fornito manodopera a basso costo, una ragione per pretendere colonie e forza militare per conquistarle. Alla poli¬ tica demografica corrispondeva una normalizzazione sessuale che era un modo di regimentare e tenere sotto controllo. Con celibi tassati, omosessuali in galera e prostitute nei bordelli di Stato, la donnamadre e l'uomo-padre furono ipocritamente additati come i pilastri della «Nuova Italia». La nascita dell'Opera nazionale maternità infanzia nel 1925, che istituzionalizzava una iniziativa fondata tempo prima da Olga Modigliani e Daisy Di Robilant (ambulatori, scuole pedagogiche, albo per le ostetriche, insomma la politica della fertilità) non sortì effetti se non tra le masse rurali e proletarie. Il modello della «nuova italiana», mater matuta pronta all'abnegazione, non attecchiva. Piacevano di più la donna elegante e sensuale dei manifesti della Campari, quella immortalata alla guida della Fiat Ardita, o diffusa dalle riviste portatrici di messaggi consumistici. Se la pretesa di utilizzare il corpo delle donne per rafforzare il regime non riuscì, la sua politica femminile, sociale e culturale, «naziona¬ lizzò» le donne, coinvolgendole seppure in modo autoritario al progetto dello Stato. Fu esclusivamente un suo merito? E nel nostro Paese, la donna moderna è davvero nata col fascismo? Moralità e figli La situazione è molto più complessa degli stereotipi che o riducono le donne a vittime di una normativa autoritaria o esagerano la modernizzazione del loro ruolo attuata dal fascismo - spiega Victoria de Grazia -. L'effettiva emancipazione ebbe tempi più lunghi e radici più antiche, tante furono le delusioni ed alto il prezzo pagato dalle donne contadine e di ceto medio-basso. Il modello era infatti ambiguo. Nelle nuove burocrazie corporative non c'era posto per le donne, e quelle che protestavano come la marchesa Maria Spinelli Monticelli venivano espulse «per indegnità e indisciplina». Quando poi nella seconda metà degli Anni Trenta furo¬ no sciolte le associazioni delle donne e promossi i fasci femminili per appoggiare la campagna d'Etiopia, la mistificazione e la contraddizione toccarono il culmine. Fu elaborato un «femminismo latino» secondo il quale la donna italiana era indispensabile e speciale. Collaborazione, educazione della donna e del bambino, onestà, desiderio di pace e moralità: questi i valori che la donna era chiamata a diffondere. E nacque il corpo delle «visitatrici fasciste» sorta di dame di carità cui il Duce aveva comandato di «ascoltare con pazienza». Mense, circoli di cucito, laboratori, colonie ed uffici di collocamento, oltre alle visite domiciliari diventarono appannaggio di un volontariato femminile che reclutava borghesi ma più volentieri le aristocratiche che davano lustro alle iniziative. Alle aspiranti soldatesse senza moschetto, di cui Starace sceglieva tessuto e ricami dell'abito, la nobildonna piemontese Irene Giunti di Targiani raccomandava di gettar via la veste mondana e l'egoismo personale. L'uscita da casa, invece che all'e- mancipazione portava dunque a nuovi doveri, rinunce e faticosi impegni. Nessuna contropartita se non vuote parole e, per le ebree come la Modigliani, le leggi razziali. «Erano diffuse l'inquietudine, la ribellione, la dissimulazione, lo scetticismo e una consapevolezza crescente dei loro diritti di cittadine», scrive l'autrice e cita quell'Alda De Morvi, quarantasettenne milanese cattolica, madre prolifica e patriota ardente che spavaldamente scrisse al Duce manifestando dissenso per la legislazione antiebraica. Addirittura gli ricordava Don Rodrigo alle prese con fra Cristoforo ed il suo «verrà un giorno...». Le De Morvi non erano certo la maggioranza delle italiane, ma l'accumulo delle loro frustrazioni e la tendenza antimilitarista le resero importanti nello sgretolamento del consenso. La guerra fece il resto e chi entrò nella Resistenza o «convinta dall'ingiustizia della persecuzione ebraica» o per «salvare un figlio di madre come il mio», scoprì nuovi rapporti uomo-donna, risorse e attitudini inaspettate. Questa abbondanza femminile poteva ferire il «puritanesimo militare» del partigiano Johnny nell'omonimo romanzo di Fenogho, ma è proprio lei che, ricollegandosi alle battaglie di mezzo secolo prima, segnava la prima manifestazione di emancipazione. Paola Decina Lombardi // prezzo pagato dalle contadine, il ruolo delle madri, le leggi razziali, gli stereotipi del regime e le borghesi jjj | Bambolotto fascista. A lato: «Purosangue», la risposta di Massimo Bontempelli al tema «Come illustrare i libri per renderli popolari» Foto grande: pubblicità per un feltro sportivo MS93B8S£SS&8833£9&S8883&8

Luoghi citati: Etiopia, Italia