Riccardo un re di oggi

Shakespeare proposto dai Teatri Uniti, regista Mario Martone Shakespeare proposto dai Teatri Uniti, regista Mario Martone Riccardo/ un re di oggi Ai personaggi resta la grande attualità ROMA. Che ottima iniziativa hanno avuto i napoletani Teatri Uniti e il regista Mario Martone, primo, a scegliere «Riccardo II» di Shakespeare come testo da rileggere oggi; secondo, a proporlo «così com'è», ossia senza attualizzarlo negli abiti o sottolinearne le analogie con la nostra realtà. Nulla infatti è più contemporaneo dei classici, a condizione che li si lasci parlare da sé. Certo, nel suo adattamento Martone ha ridotto il numero dei personaggi, ha accorpato delle scene, ha affidato più parti ad alcuni attori; ma così facendo si è comportato proprio come le compagnie elisabettiane quando si esibivano in spazi ridotti. Sempre elisabettianamente, Martone ha anche optato per una scena sobria e neutra, modificabile con pochissimi elementi - una tenda, le luci per suggerire più ambienti; ha fatto un casto ed efficace uso degli effetti sonori, con tamburi e registrazioni di brusii di fondo (il suono è di Daghi Rondanini); ha chiesto a Metella Raboni costumi semplici e, si immagina, economici, il minimo per suggerire un'epoca collocata nella Storia. In primo luogo però si è affidato al testo e agli attori. Per il testo è ricorso alla ispirata traduzione di Mario Luzi, una delle poche di Shakespeare in italiano moderno che rimangano convincenti. Per formare 0 cast ha affiancato a due giovani molto detati - Andrea Renzi come Riccardo e Roberto De Francesco come l'usurpatore Bolingbroke - un gruppo di veterani un duello; ma quando i due nobili cominciano ritualmente a battersi, il re interrompe la tenzone e condanna entrambi all'esilio. Egli ha così evitato lo spargimento di sangue, ma ha scontentato tutti (d'altro canto, come si sarebbe dovuto comportare? Il duello era una soluzione mostruosa; e dando ragione all'uno o all'altro si sarebbe probabilmente commessa un'ingiustizia). In seguito Riccardo continua a barcamenarsi in modi analoghi, e irrita la gente procurandosi denaro con metodi spregiudicati tipo confische e appalti di servizi pubblici a privati. Finisce che l'esiliato Bolingbroke torna accolto dai nobili come un salvatore; e che pur senza mai dichiararsi altro che fedele suddito del sovrano, depone il cugino. Lo spettacolo di Martone ha buon ritmo ed efficacia. L'unica concessione si ha nella famosa tirata del giardiniere che paragona l'Inghilterra alle proprie aiuole e spiega come il re abbia fatto male a non potare i rami superflui per rinforzare le piante. Nel recente «Riccardo Ti» diretto da Glauco Mauri il compianto Gianni Galavotti praticamente la cantava. Qui è proposta nel napoletano, sicuramente squisito, di un poeta come Enzo Moscato, col rischio, almeno all'Ateneo, dove lo spettacolo si replica fino al 13, di risultare poco intelligibile: a differenza del resto, che è stato seguito con grande interesse e passione. Ma solino d'Amico Mario Martone dell'avanguardia teatrale partenopea, fra cui spiccano Renato Carpentieri che è prima Giovanni di Gaunt, poi il duca di York, ossia i due saggi e inascoltati consiglieri di Riccardo, e Massimo Lanzetta, che è Mowbray e poi il giardiniere di cui si dirà fra poco. Una sola donna, Renata Palminiello, compendia i tre ruoli femminili. Questi elementi bastano a un dramma che rimarrà folgorantemente attuale finché gli uomini rimarranno quelli che sono. Quand'anche il suo autore non avesse scritto altro, a qualificare il suo genio basterebbe la prima sequenza, in cui il galletto Bolingbroke, cugino del sovrano, denuncia davanti a lui il rivale Mowbray accusandolo di tradimento. Mowbray gli risponde per le rime e si decide per

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