Amo l'Italia chissà perché di Guglielmo Zucconi

Quale cittadinanza scegliere per il nipotino? Duello tra Guglielmo Zucconi e il figlio Vittorio Quale cittadinanza scegliere per il nipotino? Duello tra Guglielmo Zucconi e il figlio Vittorio Amo l'Italia, chissà perché Cento buoni motivi fra tanti disastri w t| N radazzo di 17 anni vivo in America con genitori italiani e doppia cittadiIJ nanza. Dice il nonno: «E' _V | ora che scelga. Ed è meglio che scelga l'Italia». Dice il padre: «E' meglio che scelga l'America». Mentre il ragazzo riflette, gli adulti incominciano a discutere. Sono famosi giornalisti, Guglielmo c Vittorio Zucconi e l'origine del dibattito è Guido, figlio di Vittorio e nipote di Guglielmo. La loro sfida transoceanica, via computer, i due l'hanno raccolta in un libro, La scommessa (Rizzoli), del quale anticipiamo alcune «ragioni per amare l'Italia». Racconta Guglielmo Zucconi: «La discussione è nata nel Natale scorso. Parlavamo di Guido: ha 17 anni, deve decidere se diventare americano o italiano. Ad aprile ò diventato un dibattito serrato. Fino ad agosto». L'esordio segna un punto a favore di Vittorio. E' aprile e le Camere hanno mandato «quasi assolto» Craxi. Così il padre «americano» domanda: come diavolo faccio a spiegargli queste cose? Il nonno replica e divampa la discussione elettronica: c'ò di mezzo l'Oceano, si dialoga via computer. Racconta Guglielmo: «Due Mclntosh gemelli con modem incluso. Erano il nostro muro elettronico, ci rimproveravano, ci dicevano "errore", si incazzavano e ci facevano incazzare perché eravamo semianalfabeti in materia, non li sapevamo gestire. Però ci davano questa straordinaria possibilità: un libro a quattro mani su due scrivanie poste una di fronte all'altra, benché a una distanza di 6 mila chilometri». I capitoli si alternano con il tono di una corrispondenza affettuosa, dove ciascuno vuole far vincere la sua idea ma non vuole vincere sull'altro. Scrive Vittorio, tra rispetto e rimprovero: «Padre mio, come siamo caduti in basso. La pizza e l'aceto balsamico messi fra le prime ragioni per amare l'Italia?». E Guglielmo batte sui tasti come se mettesse una mano sulla spalla al figlio: «Comincio ad avvertire, e spero di sbagliar¬ mi, un vago odore di ragionamenti da emigrato». La schermaglia ha punte accese e soste: «Washington. Sono tre giorni che lo schermo del computer tace. Che cos'è questo improvviso mutismo, una crisi mistica?». «Milano. Nessuna crisi mistica, ma un dubbio più terreno su quello che abbiamo scritto finora».-Quel che in verità nella disfida si raccontano padre e figlio è un ritratto affettuoso, ironico, dolente di questo sbrindellato e tenace Paese. Duellano sulla politica, sul sistema elettorale, su Tangentopoli ma cedono anche, e molto, alla dolcezza dei ri- cordi. Dice Guglielmo: «E' un misto di ricordi del passato e di sguardi al futuro. Vittorio, l'americano, è attaccato alla famiglia. Gli ho ricordato che alcuni vedono il disastro attuale come quello del '43. Ma in quel clima allucinato io e sua madre prendemmo una decisione che sembrava follia e invece era speranza: ci sposammo. L'abbiamo concepito, partorito e allattato sotto le bombe. E mi sembra un buon prodotto made in Italy». La vera risposta che gli autori cercano è alla domanda: «Vale ancora la pena di essere italiani, di sopportare fatiche, rabbie, di¬ sastri degli Anni 90, o è meglio voltare le spalle ai nonni, al bar del paese, a Bossi e Occhetto, sbattendo la porta?». Ammette Guglielmo: «Credo che non discutiamo per convincere il ragazzo, ma noi stessi». Forse per questo sono state lasciate due pagine bianche dove il lettore può annotare le sue ragioni, da aggiungere nella prossima edizione. Chi ha vinto la scommessa? «Tutti e due, com'era logico», dice Guglielmo. Possibile che in cuor suo non pensi di averla vinta un po' di più? «No. In fondo Vittorio vive una nostalgia incrociata: quando è là verso l'Italia, quando è qui verso l'America. Il più dubbioso è lui. Io, semmai, lo accuso di attaccare questa nevrosi ai suoi figli: la moglie milanese parla in inglese e lui le dice di parlare in italiano, però glielo dice in inglese». Anche Vittorio, da Washington, non crede a trionfatori e sconfitti: «E' la vita che si incarica di far perdere e vincere le scommesse. Io poi con quel dialogo avevo tutto da perdere e niente da guadagnare: se fossi riuscito a dimostrare che si deve andare via, allora per noi, per mio padre, per gli italiani sarei stato "l'infame"». Cartucce nel fucile, però, l'Italia ne ha fornite, e tante: «Sì, come sparare sulla Croce Rossa». E Guido, l'uomo dal destino controverso? «Sulle prime, quando vedeva nascere gli scambi, si vergognava come un ladro: ma cosa scrivi?, mi diceva. Poi ci ha preso gusto, si rende conto che è un problema serio. Però non ha ancora letto il libro completo». Una via d'uscita c'è: Guido diventa americano, fa il giornalista e va a Roma come inviato di un giornale americano. Vittorio ammette: «E' il mio sogno. Forse perché la conclusione è che l'ideale è vivere un Paese da straniero. Io sto benissimo qui perché non sono americano. In Italia sto bene un mese o due: hai il meglio di un Paese senza pagare pedaggi morali e pratici. E' il principio del biglietto di ritorno in tasca». Nonno Guglielmo, se lo vede Guido «americano a Roma»? «Va benissimo. Ma è comunque italiano». Lo dimostri. «Durante la Guerra del Golfo, in quelle villette monofamiliari americane, fatte con lo stampino, tutti mettevano fuori la bandiera. Guido ha messo quella italiana». Richiamo della patria? «La patria formalmente non è nulla, è cultura, stato d'animo, ovunque si viva». Ci dia un'altra prova. «Gli ho chiesto di contare fino a cinque sulle dita. E' partito dal pollice. Gli americani partono dal mignolo». Marco NeiroUi «Padre mio, come siamo caduti in basso: ami un Paese per pizza e aceto balsamico?» «Figlio, avverto ragionamenti da emigrato». Libro-dibattito a quattro inani con un Oceano fra gli autori jsa. Un'immagine di Manhattan, simbolo dell'America ricca e potente. A sinistra: Guglielmo e Vittorio Zucconi

Persone citate: Craxi, Guglielmo Zucconi, Occhetto, Vittorio Zucconi