La sfida di Solimano il Magnifico ai gorghi dell'odio nei Balcani

L'ARABESCO DI PIÈTRA L'ARABESCO DI PIÈTRA La sfida di Solimano il Magnifico ai gorghi dell'odio nei Balcani TRENTA anni fa Ivo Andric conquistò il Nobel raccontando il miracolo politico della Jugoslavia nella storia di un ponte, il ricamo di pietra che un Gran Visir, Mehemet Ali, aveva intessuto sui gorghi della Drina, a Visegrad. Nel succedersi delle generazioni, nelle gioie e sofferenze degli uomini di diverse fedi e ideologie consumate attorno a quelle pietre, era nascosto il segreto della fragile tolleranza fiorita in un convulso crocevia di popoli. Adesso che la Jugoslavia è solo un ex Paese precipitato nell'orrore, un romanzo così non si potrà più scrivere. Strano destino, davvero, quasi la nascita e la dissoluzione di una nazione fossero impressi nei ponti, simboli dei vincoli lanciati tra gli slavi del Sud a dispetto delle fratture di una geografia aspra e di una storia ancora più complicata. Anche il ponte vecchio di Mostar era un fiore dell'arte ottomana, il dono, costato anni di la¬ voro, che nel 1556 Hajruddin, architetto un po' folle, aveva fatto al suo imperiale e lontano signore. Ventinove metri di pietre lanciate come una sfida sui gorghi della Neretva, a gloria, si sperava, immortale del figlio prediletto di Allah, Solimano I il Magnifico. Ma su quella meraviglia passavano tutti, ebrei e cristiani, musulmani e ortodossi, senza che qualcuno si sognasse di chiedere passaporti e certificati di fede. Quattro secoli dopo, nella civilissima Europa dove sono caduti tutti i Muri, lo hanno sbriciolato, fatto a pezzi, affondato nelle acque del fiume con decine di cannonate. Erano mesi che i croati gli davano la caccia: avevano dapprima disintegrato le antiche botteghe di legno dove si affollavano, in un lontano tempo felice, i turisti; poi, pezzo dopo pezzo, hanno sbocconcellato il parapetto e le torri che presidiavano le estremità, protette pateticamente con sacchetti di sabbia e vecchi pneumatici. Alla fine hanno dato il colpo di grazia a un odiato simbolo di un'epoca senza odio e senza stragi. Il proclama dei distruttori trasuda l'arroganza e il cinismo eterno dei lanzichenecchi: «Era un obiettivo militare, serviva per portare approvvigionamenti al nemico». Nell'assedio di Mostar sono morte migliaia di persone, almeno altre 50 mila rischiano il genocidio; forse, un mucchio di vecchie pietre non contano molto. Ma, in realtà, si dà la caccia ai monumenti per poter cancellare la vergogna di uccidere gli uomini. I ragazzi non si getteranno più con tranquilla incoscienza nei quattro metri d'acqua della Neretva per conquistare la fidanzata, o più prosaicamente per inseguire una moneta lanciata dai turisti. Anche a Mostar hanno assassinato la Storia. Domenico Qu i rie o fco^J

Persone citate: Domenico Qu, Ivo Andric, Mehemet Ali, Solimano, Solimano I

Luoghi citati: Europa, Jugoslavia