«Denunciai Chiesa lo rifarei»

«Denunciai Chiesa, lo rifarei» «Denunciai Chiesa, lo rifarei» L'accusatore: ma non mi ha portato fortuna QUELLA PRIMA MAZZETTA IN FLAGRANTE LMILANO UCA Magni se lo ricorda bene quel 17 febbraio '92, quando cominciò tutto. Fu lui, piccolo imprenditore a Monza, a portare la mazzetta «avvelenata» a Mario Chiesa, il primo della Usta infinita di Tangentopoli. Per quel fatto Chiesa è stato condannato a 6 anni di carcere. E il giudice Ghitti ieri ha motivato in 453 pagine quella prima condanna. Allora, Magni, si ricorda? «Ho dimenticato solo la paura, l'incertezza, quel momento terribile quando entrai nel suo ufficio: lui che voleva i soldi e i carabinieri fuori che aspettavano. E mi ricordo come ero contento dopo. Mi sentivo riscattato. Finalmente mi ero ribellato a uno che mi opprimeva». Lei è titolare di una piccola impresa di pulizie. Dentro Tangentopoli ci sono tutti i più importanti gruppi industriali. Fiat, Eni, Olivetti. Nessuno di loro, però, ha denunciato il Mario Chiesa di turno... «Per molte imprese quella era una situazione di comodo: pagavano tangenti, ma in cambio sbaragliavano il mercato e guadagnavano a palate. La mia invece è un'azienda famigliare, gli interessi economici non sono prevalenti». C'è qualcosa più importante? «L'azienda è il mio lavoro, non è solo il capitale. A pagare tangenti ci perdevo. Ma avevo i miei operai da difendere, non potevo tornare a fare il rappresentante». In che modo si sentiva oppresso da Chiesa? «Sprizzava potere, e lo dimostrava. Nemmeno se fossi stato un suo dipendente mi sarei trovato a mio agio. Mi teneva sotto scacco: voleva il 10% per ogni appalto. E per me era tantissimo. L'ultima commessa era di 140 milioni, e io 14 milioni dove li trovavo?». E così la denuncia... «Indagavano già su Mario Chiesa. Io sono solo arrivato al momento giusto, per caso». L'ha più rivisto Chiesa? «No, non sono andato nemmeno al processo. Mi ha restituito tutti i soldi, danni compresi, per un totale di 55 milioni». Perché è stata possibile l'inchiesta Mani pulite? «I motivi sono tanti. Credo soprattutto perché la crescita della Lega ha tolto pressione ai partiti. Perdevano il consenso». La sua impresa, con tutto quello che è successo, adesso lavora meglio di prima? E' davvero finito quel sistema? «No, il "sistema" non è finito. Sono stato penalizzato, D lavoro è diminuito. Ho perso tutte le commesse con il Pio Albergo. Da loro non ho più ricevuto nemmeno 5 lire. Alla Baggina, dove gli appalti venivano assegnati con trattativa privata, non ho più avuto un lavoro». Perché, Luca Magni? «Le persone con cui tratto non hanno nulla contro di me. L'im¬ magine pero è compromessa, e molti di loro adoravano Mario Chiesa. Forse "tirarmi in casa" sarebbe controproducente per l'immagine dell'Ente». Ha più rivisto Di Pietro? «No». Da più parti si chiede di trovare un'uscita da Tangentopoli? E' d'accordo? «Sì, non si può aspettare che tutto sia distrutto prima di ricostruire. Si deve ricominciare da adesso, anche correndo il rischio che chi non ha pagato, non paghi mai. Non si può vivere di sole inchieste». Lei si è dato alla politica... «Sono stato eletto consigliere per il msi a Monza. Poi ho lasciato il partito: è come tutti gli altri. Con altri quattro consiglieri ho creato un gruppo indipendente; pensiamo solo ai problemi della città. La politica è importante: il Parlamento non può sparire. Tutti gli altri poteri dello Stato devono risollevarsi, non può rimanere solo la magistratura». Rifarebbe ciò che ha fatto? «Con più entusiasmo, visto come sono andate le cose. Ma io non ho fatto nulla di particolare, non sono un eroe». Fabio Potetti Mario Chiesa

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