Ogiata la pista dei conti svizzeri

Pigiata, la pista dei conti svizzeri Il marito adesso sembra avere sospetti precisi Pigiata, la pista dei conti svizzeri La contessa aveva messo poi ritirato la firma UN GIALLO CHE VALE MEZZO MILIARDO UROMA N gruppo di ragazzi dell'Olgiata, appoggiati ad una transenna di legno di uno dei viali della residenza, si atteggia agli eroi del muretto televisivo e commenta ad alta voce la notizia della taglia offerta dal marito di Alberica Filo della Torre. «Cinquecento milioni per sapere che cosa?», chiede una ragazzina in tuta gialla e blu. «Poveraccio - gli risponde il compagno -, ma se spera di trovare così l'assassino sta fresco. E poi sono passati più di due anni, sai quello che fine ha fatto...». La villa del mistero, nell'isola 28, è lontana, dimenticata dalla gente di un paradiso multiforme. La splendida torretta della casa di pietra e cortina nella quale la piccola regina dell'Olgiata venne uccisa una mattina di luglio di due anni fa è abitata da un'altra famiglia ricca e importante. La finestra di quella che fu la camera da letto e di morte della contessa Filo Della Torre, sposata Mattei in seconde nozze, è chiusa. Ci sono nell'aria segnali di novità importanti, ma i magistrati sono abbottonatissimi e non si lasciano scappare una sillaba. Il riserbo è tale che non vogliono dire neppure quando sarà archiviata quella prima parte dell'indagini a carico di Roberto Jacono il figlio dell'ex governante dei figli di Alberica, scagionato prima dai testimoni e poi dall'esame sul Dna. Pietro Mattei, il marito della vittima, amministratore delegato della Vianini, non vuole che l'inchiesta vada in archivio ed offre una cifra mai pagata prima da un privato, per sollecitare la memoria di chi ha visto o sa qualcosa. La somma è pronta, garantita da un immobile e sarà consegnata a chi fornirà gli elementi utili per incastrare l'assassino di sua moglie. Un collegio di arbitri dovrà stabilire se le informazioni fornite (al magistrato) sono meritevoli del premio in danaro. Il gran giurì non è stato ancora formato, ma Mattei vuole che ne facciano parte avvocati e giornalisti. Forse un modo per riappacificarsi col mondo dell'informazione, fino ad ora trascinato in tribunale a suon di citazioni per danni da miliardi. In una lettera trasmessa alle agenzie di stampa Mattei spiega perché si è deciso a fare questa mossa, ma scopre anche la sua strategia. Insinua il sospetto che l'assassino ha certamente beneficiato di «specifiche complicità», ma anche della «reticenza» di chi, pur conoscendo circostanze precise, non le ha riferite per timore di restare «coinvolto in una vicenda così grave». Difficile dire se il riferimento è generico o mirato. Se insomma Mattei ha già in testa il nome dell'assassino, oppure no. L'idea di un taglia, assicurano i suoi amici, è antica. Avrebbe voluto offrirla subito, già l'indomani del delitto, ma venne sconsigliato. Per due anni ha atteso, ha sperato. L'estate scorsa quando venne annunciato che la pubblica accusa era sul punto di archiviare tutto, la sorella di Alberica, Francesca, prese un'iniziativa parallela e forse lo spiazzò: aprì a sue spese una casella postale presso un settimanale e invitò a scrivere anche in forma anonima. Non è servito a nulla. Francesca e sua madre sono state ascoltate dal magistrato. Hanno detto quel che poco che sapevano. Le indagini si sono spostate all'estero, pare su alcuni conti correnti che Alberica aveva in Svizzera, sulle firme che aveva prima depositato e poi revocato alcuni giorni prima del delitto. Sono state indagini difficili, delicate, sulle quali Mattei ha fornito tutte le spiegazioni che gli sono state richieste. Ed ora si attende che la pubblica accusa tragga le conclusioni e decida se è questa la pista è da seguire oppure no. Escono intanto dalla scena personaggi che vi avevano fatto la loro apparizione durante quella che è stata la prima raffigurazione dell'omicidio: occasionale e non premeditato, di un rapinatore che uccide solo perché viene riconosciuto dalla sua vittima. E' stato chiarito infatti come, perché e quando un funzionario dei servizi segreti arrivò in villa poche ore dopo la scoperta del delitto. Lo 007 è Michele Finocchi, uno degli indagati per lo scandalo dei fondi neri. Fu Mattei a chiamarlo ma era un amico della famiglia di lei, di suo padre ammiraglio. Le cameriere sapevano di dover rivolgersi a lui in caso di necessità. Il funzionario era ancora lì quando arrivò il magistrato; era sudato, affranto, sconvolto per la morte dell'amica alla quale telefonava spesso. Un incontro, quello con l'inquirente, fatto di «scusi ma lei chi è?», e di risposte del tipo «Lei non sa chi sono io». Poi il chiarimento, le scuse e l'uscita un po' mesta dalla villa. E' bastato l'annuncio della sua presenza in casa Mattei quella mattina per dar corpo a sospetti, a dubbi, a ombre inconfessabili. In realtà tutti sapevano, sapeva il giudice, sapevano i carabinieri; il suo nome era stato indicato nel primo rapporto di polizia giudiziaria tra coloro i quali erano accorsi in casa Mattei. La sua presenza è solo la conferma del fatto che furono in tanti, in troppi ad entrare in quella casa, a frugare, a toccare, a pulire, a cercare, a cancellare le tracce dell'assassino, ad aver eccessiva fretta nel restituire la stanza da letto di Alberica alla normalità. Il delitto fu commesso tra le 3 e 45 e le 9 e 15 della mattina del 10 luglio, un mercoledì: Alberica Filo della Torre era sola nella sua camera da letto. Il marito era appena uscito per andare a lavoro. Il tesserino del lasciapassare lasciato scorrere sulla tavola magnetica ha provato che egli è uscito dai cancelli dell'Olgiata alle 8, qualche minuto prima del solito. Alle nove era in ufficio all'Eur. Un alibi di ferro che cancella subito una prima esile ombra di sospetto nata sulla testimonianza del barista che non ricordava di avergli servito il solito caffè delle otto e mezzo. L'equivoco viene chiarito con l'anticipo dell'uscita da casa. Alberica Filo della Torre è una donna molto bella. Ha tanti amici che l'adorano e l'amano in silenzio. Persone in vista della buona società romana: deputati e altissimi funzionari dello Stato, avvocati di grido e dirigenti di banca. Ha l'hobby dell'arredamento, conduce un menage familiare irreprensibile, adora i due figli Manfredi e Domitilla. Anche Pietro Mattei, il marito è un uomo importante, amico di politici che frequentano la sua casa. Nell'inchiesta vi entra come testimone chiave degli ultimi istanti di vita di sua moglie. Quando quella mattina esce di casa, lei è sveglia, si parlano, prendono gli ultimi accordi per la festa che daranno quella sera per festeggiare i dieci anni di matrimonio. Nel guardare fuori della finestra, Mattei nota una Golf scura e pensa che sia quella degli operai chiamati per sistemare i tavolini e il gazebo. Poi scopre che non è così e si chiede chi possa esserne il proprietario. Esterna il suo dubbio solo quando viene a sapere che anche Roberto Jacono, il fìylio dell'ex istitutrice dei suoi bambini, diventato successivamente il sospettato numero uno di questo giallo, ne ha una. Il giovane, con qualche precedente per uso di sostanze stupefa¬ centi entra subito nel mirino dell'inchiesta. Una comunicazione giudiziaria gli arriva solo per procedere all'esame del Dna su tre macchioline di sangue trovale suoi pantaloni. L'esame viene effettuato tra mille difficoltà ma il risultato lo scagiona in pieno. Si riparte da zero: sulla ricostruzione di quello che avviene in casa a partire da quel momento c'è contrasto tra le versioni delle due domestiche filippine, della tata inglese, dei bambini, del piccolo amico ospite quel giorno in casa Mattei. Di certo la contessa resta sola nella sua stanza da letto sulla quale si apre il suo bagno privato e uno spogliatoio. L'assassino la sorprende mentre è in bagno. Segue una colluttazione, la donna viene afferrata, forse di spalle, colpita con uno zoccolo e poi strangolata. Prima di andar via l'assassino le fascia la testa come una mummia e la abbandona in terra. I due bambini, Manfredi e Domitilla, finita la colazione giocano con il loro amichetto. Pochi minuti dopo le nove, la bimba sale in camera da letto della madre e trova la porta chiusa a chiave. Bussa, guarda attraverso il buco della serratura, la chiave è nella toppa dalla parte interna. L'assassino è chiuso dentro con il cadavere di Alberica riverso sul pavimento sotto il termosifone. Nessuno risponde e la bimba torna giù. Passa ancora un'ora. La cameriera si insospettisce, bussa. La porta è sempre chiusa dall'interno ma la chiave è scomparsa dalla toppa. Capisce che è successo qualcosa, chiama i vigilantes. La porta viene aperta di forza. Alberica è a terra con la testa avvolta in un lenzuolo sporco di sangue. Sembra che Alberica sia ancora viva, si pensa ad un tentativo di suicidio. Qualcuno tenta di rianimarla ma si rende conto che non c'è più nulla da fare. L'ipotesi del suicidio resta ancora valida per alcune ore. Solo dopo molte ore e quando ormai nella stanza del delitto sono entrate ed uscite un numero imprecisabile di persone, vengono finalmente chiamati gli esperti della squadra scientifica dei carabinieri. Impronte non ce ne sono. Mancano alcuni gioielli, un collier e un anello del valore di cento milioni. Si fa avanti l'ipotesi della rapina, commessa da un professionista perché al polso della vittima è stato lasciato un Rolex d'oro che vale trenta milioni. L'assassino non l'ha portato via perché sa che quel gioiello è numerato ed è come se avesse stampato sul retro il nome del suo legittimo proprietario? Una ad una, le persone presenti nella villa entrano ed escono dal cono d'ombra del sospetto. Gli operai, le domestiche, l'ex cameriere filippino e per ultimo Roberto Jacono. Si scava per due anni in quei trenta minuti che custodiscono la chiave del mistero. E' tutto inutile. Poi si batte la pista dei conti svizzeri. E mentre si attendono i risultati definitivi, ecco, a sorpresa, l'offerta di una taglia da mezzo miliardo. Se non fosse tutto così complicato, ci sarebbe da rubare a Sherlock Holmes la celebre battuta: «Elementare Watson!» Roberto Martinelli La maxi-taglia offerta a chi aiuterà a scoprire T'assassino di Alberica vuol vincere le «troppe complicità» La presenza di un agente Sisde sul luogo del delitto fu richiesta dalla famiglia In alto la villa dell'Olgiata e la contessa Alberica Filo della Torre, a sinistra il marito Pietro Mattei e a destra Roberto Jacono, che fu sospettato del delitto

Luoghi citati: Svizzera