OSSERVATORIO di Aldo Rizzo

r r OSSERVATORIO Troppi pretendenti al «club atomico» L vecchio mondo della Guerra fredda si è fatto risentire nei giorni scorsi, o così è sembrato. Si è fatto risentire su quello che resta sempre il tema più impressionante, le anni nucleari. Allarme in Occidente, almeno in una certa misura, e a livello di opinione pubblica, per la nuova «dottrina militare» russa, che prevede, o meglio non esclude, in caso di conflitto, un «primo colpo» nucleare. In realtà, si tratta di una revisione strategica più ampia e complessa, che peraltro riguarda anche l'America. Cominciamo anzi proprio dagli Stati Uniti. I quali si sono accorti, per così dire, che il loro sistema ufficiale di puntamento e di mira dei missili intercontinentali è fermo al 1981, quando era massima la tensione con l'Urss per l'occupazione dell'Afghanistan. Di qui la decisione del Pentagono di avviare una revisione in profondità della «dottrina nucleare» americana, alla luce dei cambiamenti a Mosca e dei trattati di disarmo firmati nel frattempo. Si tratta di stabilire quali armi conservare e dove, e verso cosa puntarle. Più in generale, si discutono due temi: se mantenere la teoria del «primo colpo» (che dunque gli americani hanno già, come fattore di dissuasione di un massiccio attacco convenzionale) e se, limitando l'impiego delle armi nucleari alla risposta a un attacco missilistico, quest'ultimo debba essere inteso come meramente nucleare o anche chimico e batteriologico (la «Bomba dei poveri», ormai parecchio diffusa nel Terzo Mondo). Il caso russo è diverso, ma non tanto. I russi partono da una «dottrina» del 1982, che bandiva ufficialmente il «primo colpo» nucleare. Ma era più che altro propaganda, ad uso dei pacifisti occidentali, che manifestavano contro gli euromissili americani, che erano stati installati in risposta agli SS-20 sovietici. A parte questo, l'Urss poteva permettersi, almeno a parole, il «no first use» perché disponeva di una schiacciante superiorità sul terreno convenzionale: lo stesso motivo per cui gli Stati Uniti e la Nato pensavano di dover ricorrere, all'occorrenza, al «first use». Ora il punto è che, già ridotta e riequilibrata dagli accordi ì oct I 01 1 tae: di disarmo dell'epoca gorbacioviana, la macchina convenzionale russa è stata investita dalle rivoluzioni anticomuniste nell'Est europeo e poi dallo sconquasso interno sovietico, ed è praticamente allo sbando {come capacità operativa su larga scala). Ed ecco quindi riaffiorare il primo colpo nucleare, come avvertimento o «deterrenza» per quei Paesi confinanti, a Est e a Ovest, che si lasciassero tentare, in una situazione di crisi, dalla debolezza convenzionale russa. Questi Paesi sono essenzialmente due: la Cina e l'Ucraina. Soprattutto quest'ultima, con la quale i rapporti sono sempre più tesi. (Altro discorso, anch'esso importante, è il riordino, o il tentativo di riordino, complessivo delle forze armate russe e dell'assegnazione ad esse di un ruolo preciso fuori e anche dentro il Paese, probabilmente come «premio» per la loro fedeltà a Eltsin). Dunque, allarme ingiustificato, per quanto riguarda l'Occidente? Si direbbe di sì. Sia i russi che gli americani non si preoccupano più gli uni degli altri, come ai tempi dell'equilibrio del terrore, ma cercano piuttosto (ciascuno nelle proprie condizioni storiche, politiche ed economiche) d'individuare obiettivi e mezzi di difesa in un mondo completamente nuovo. L'America pensa ai dittatori reali e potenziali, alla proliferazione delle armi nucleari ma anche chimiche e biologiche, nella galassia islamica. La Russia teme le molte crisi regionali, dentro e fuori i vecchi confini dell'Urss. Bisogna dire che questo nuovo mondo non è meno pericoloso del vecchio, anzi lo è forse di più. Ragion per cui le due superpotenze faranno bene a restare in stretto contatto. Come, perché no, ai tempi della Guerra fredda. Aldo Rizzo EZO^J

Persone citate: Eltsin