«Farmaci killer» ecco la verità di Maria Grazia Bruzzone
«Farmaci killer», ecco la verità «Farmaci killer», ecco la verità «Cera soprattutto una gran confusione» GLI ESPERTI E IL CAOS SANITÀ' UROMA N certo numero delle determinazioni della direzione generale erano in contrasto con le convinzioni scientifiche». Si conclude così il dossier sui «farmaci killer» insabbiato a suo tempo dalla magistratura romana, ritirato fuori oggi dalla Cgil sull'onda del caso Poggiolini. Una perizia di oltre 300 pagine redatta dieci anni fa da Benedetto Terracini, Amilcare Carpi de Resmini, Giorgio Bignami, su commissione del pretore torinese Guariniello. Che già nel 1982 avevano documentato il marcio del sistema di licenza e controllo delle medicine in Italia. Confrontando pazientemente le informazioni fornite dai foglietti illustrativi (i cosiddetti «bugiardini», oggi chiamati «schede tecniche») di un gran numero di farmaci in commercio con la letteratura medica più aggiornata di quel tempo. Tre esperti. Terracini, docente di Epidemiologia all'Università di Torino, specializzato oncologia. Carpi, oggi in pensione, era farmacologo dell'Istituto Superiore di Sanità quando vi lavorava il premio Nobel Bovet, per un periodo aveva fatto persino parte di una commissione farmacologica, prima che si arrivasse alla Cuf, la commissione unica. Ma se ne era ritirato in buon ordine. E anche all'Iss aveva finito per cambiare ramo, fondando e dirigendo il laboratorio di fisiopatologia animale oggi guidato da Giorgio Bignami. Anche lui trasmigrato dalla farmacologia. Avevate davvero scoperto dei farmaci killer, professor Terracini? «Quel termine è un'assoluta esagerazione e ha turbato profondamente la gente. Tutti i farmaci sono potenzialmente nocivi, spetta al medico valutare il rapporto fra beneficio e rischio. Ma delle cose interessanti erano comunque venute fuori». Lei si era occupato soprattutto degli effetti cancerogeni. «Certamente. E avevo rilevato tre ordini di fatti. Primo: c'era una notevole difformità sulle informazioni di rischi cancerogeni nei foglietti illustrativi. Chi li citava, magari spaventando; chi non li nominava nemmeno. Secondo: non sempre era precisa l'indicazione sull'esistenza dei rischi, cosa che rendeva difficile da parte dei medici la valutazione del rapporto fra rischio e beneficio. Terzo e più grave problema: emergevano dei ritardi con cui l'Italia introduceva delle modifiche ai farmaci in uso. o ne ritirava alcuni dal commercio». Qualche esempio? «Il caso della Fenacetina, un principio attivo usato in molti analgesici da banco, pillole per il mal di denti o il mal di testa. Ci si era accorti che era una sostanza cancerogena. Ma l'Italia l'ha ritirata molto dopo Francia e Germania. Per non parlare della Svezia. Nel passato erano accaduti casi anche più gravi. Basti pensare che il ritardo con cui in Italia si passò dal vaccino Salk al Sabin ha causato un certo numero di casi di poliomielite. E il talidomide che causava malformazioni fetali? Anche quello, venne fuori, era stato ritirato con grave ritardo». Altri «tahdomidi» non ne avete trovati dieci anni fa? «Il Dietilstiberzolo veniva usato in gravidanza per prevenire le emorragie. Quando era già emerso che causava tumori nelle fighe femmine. E chissà quanti ne ha provocati prima di essere ritirato. Nessuno si è mai occupato di verificarlo. L'importante è comunque l'informazione tempestiva e esatta». E Terracini fa un altro esempio, il Metronidazolo, un disinfettante ginecologico per uomini e donne. «Un farmaco utilissimo. Ma si era scoperto che nei topi di laboratorio produceva tumori al polmone. Così nella decina di farmaci che lo utilizzavano c'erano foglietti illustrativi che ignoravano del tutto la cosa, altri invece che addirittura consigliavano di farsi visite periodiche ai polmoni. Che non ha senso, perché fra topo e uomo non c'è una vera corrispondenza di organi bersaglio». Carpi de Resmini, che si era occupato soprattutto dei farmaci vascolari, accenna agli effetti nocivi di alcuni composti per il cuore. Che, mescolando diversi principi attivi, possono causare depressione o sovraffaticamento cardiaco. E anche Bignami parla dell'effetto nocivo di certe associazioni di principi a uso neurologico. E ricorda addirittura certe «ridicole» associazioni di antitubercolari, mescolati a calcio e vitamine. Carpi de Resmini: «Quel che veniva fuori era soprattutto una gran confusione. Dello stesso principio attivo c'erano spesso diversi prodotti. Alcuni con indicazioni corrette, altre no. O erano così ampie e generiche da permettere usi che non giustificavano i rischi. Alcuni poi erano farmaci vecchi, e sono stati rivisti nel tempo, o riti¬ rati. Secondo quali meccanismi, non lo so. Spesso la revisione la fanno le stesse case farmaceutiche, per ragioni di opportunità». Fatto sta che la vostra perizia fu insabbiata. E che lei abbandonò il laboratorio di farmacologia dell'Iss. «Non mi aspettavo assolutamente che potesse avere alcun seguito. La situazione farmaci in Italia non è mai stata chiara. E' un terreno, diciamo così, scivoloso». Dove è difficile lavorare con soddisfazione. «Soddisfazioni se ne potrebbero anche avere. Ma quando ci si accorge che la propria linea di pensiero non trova riscontri nella pratica, non vale più la pena». E la commissione farmacologica, che vagliava i nuovi farmaci? «Quando si fece la Cuf, colsi l'occasione per defilarmi. Alla fine non si sapeva mai bene come si arrivasse alle decisioni. La verbalizzazione dei pareri era estremamente modesta. Le scelte apparentemente erano prese all'unanimità. O piuttosto, se qualcuno insisteva per verbalizzare, si soprassedeva». Maria Grazia Bruzzone Terracini: per certi prodotti c'era rischio di effetti cancerogeni, ma solo alcune case mettevano in guardia medici e malati L'ex direttore della Sanità Duilio Poggiolini
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