L' onda lunga della Sasea travolge la Novara-bene di Zeni
UNA BANCA SENZA PACE I/onda lunga della Sasea travolge la Novara-bene UNA BANCA SENZA PACE SNOVARA U e giù per i gradoni del palazzo di giustizia dove regna Di Pietro. Sfila il vertice della Popolare davanti ai giudici di Milano. E non è più solo sorpresa quella della gente di Novara. Era sorpresa a luglio, quando toccò a Piero Bongianino, l'ex amministratore, l'onta dell'avviso di garanzia, della comparsa davanti al giudice Luigi Orsi. E poi addirittura l'onta degli arresti domiciliari per l'ex uomo forte accusato di concorso in bancarotta fraudolenta della Sasea del finanziere-bancarottiere (tuttora in carcere) Florio Fiorini. Ma adesso? Adesso gli uomini della Popolare coinvolti in quel maledetto affare Sasea sono quattro. Dopo Bongianino, altri tre avvisi di garanzia firmati dal giudice Orsi. Uno per Carlo Piantamela, l'amministratore delegato. Il secondo per il consigliere Edo De Agostini. Il terzo per l'anziano Lino Venini, 84 anni, il presidente, un mito: banchiere e padre-padrone, l'artefice di molte fortune della Popolare che è oggi una delle prime banche in Italia e in Europa, l'unico capace di prenderla in mano nei giorni bui di mezza estate quando 3 ciclone Bongianino sembrava promettere chissà quali sfracelli. Eh no, con il presidente-leggenda costretto anche lui a spiegarsi e a difendersi - domani - davanti al giudice di Milano, come si fa a parlare di sorpresa? «E' una vergogna», si sente dire ai tavoli del Bertani, il caffè del corso. Dove si aggiunge: «Niente sarà più come prima, purtroppo». C'è rimpianto in quel «purtroppo». Rimpianto per i vecchi tempi quando la Popolare stava solo nell'antico Palazzo Bellini, piccolo gioiello del Settecento, e davanti non c'era ancora quel mostro tutto vetro e cemento costruito in anni recenti quasi a fare da monumento alle pretese della prima Popolare d'Europa. Per gli azionisti erano gli anni d'oro dei dividendi ricchi. Altri tempi. Venini parlava chiaro. Diceva: «Qui vige una morale eccezionale, il lavoro e la dignità dell'uomo sono rispettati al massimo». Spiegava: «Nella nostra banca si lavora, punto e basta. Nessuno è mai entrato per ragioni o estrazioni politiche». Teorizzava: «Il banchiere non può svolgere il suo lavoro fuori delle buone regole, contro la legge e la morale. Non bisogna mai trasformare la banca in uno strumento d'affari e di specu- lazioni in senso deteriore». C'è chi dice che quella era la regola del cattolico Venini, il banchiere patriarca. Non di Bongianino, l'ex amministratore. Fu lui a spingere sull'acceleratore dei prestiti, a volere l'espansione a tutti i costi: o almeno così dissero in tanti nel luglio fatale, quasi a spiegare l'inspiegabile. Tutto risolto: a Venini di nuovo onori e presidenza, a Bongianino le ombre: quelle di Ba- gnasco, ex re di Europrogramme, di Ciarrapico, ex ras delle acque minerali. Giancarlo Parretti, l'ex cameriere che ha chiuso la sua carriera finanziaria scalando nientemeno che la Metro Goldwyn Mayer. E Florio Fiorini, quello che definiva la propria attività di compra-vendita di società decotte «una lavanderia», l'uomo della Sasea che dalla Popolare ottenne qualcosa come 400 miliardi e che, per re- stituirne una parte, mise in opera in Svizzera alcune operazioni misteriose. Quelle stesse operazioni che, sostiene adesso il giudice Orsi, non erano a conoscenza solo di Bongianino, il banchiere spregiudicato, ma anche di Venini, il banchiere che vent'anni fa diceva di odiare speculatori e speculazioni. Vent'anni fa, appunto. Armando Zeni L'avviso a Venini getta un'ombra sul grande vecchio Lino Venini, presidente della Banca Popolare di Novara
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