«Salari fermi, più occupazione»
Il presidente della Confindustria: c'è bisogno di un contratto straordinario Il presidente della Confindustria: c'è bisogno di un contratto straordinario «Salari fermi, più occupazione» Abete: alt anche all'aumento dei dividendi ROMA. Le ricette francese e tedesca non bastano per l'Italia. La settimana cortissima della Volkswagen e l'orario ridotto di Balladur, importate nel Bel Paese, non funzionerebbero. E D'Antoni, il primo sindacalista ad ammettere la necessità di ridurre i salari in proporzione con l'orario di lavoro, ha detto una cosa giusta ma nel momento sbagliato. La ricetta per curare - se non guarire - la piaga della disoccupazione in Italia ritiene di averla lui, Luigi Abete, presidente della Confindustria. Ma appena l'ha proposta è stato subissato da un fuoco incrociato di critiche sindacali. Che d'altronde respinge ai mittenti. Presidente Abete, perché questo vespaio? Ci spiega? «Il '94 sarà l'anno terribile dell'occupazione in Italia... Abbiamo visto solo le avvisaglie della vera crisi». D'accordo, ma che fare? «Io prendo atto con soddisfazione delle proposte di D'Antoni: dice cose diverse dal passato, parla di ridurre anche i salari insieme all'orario. Bene: può servire. Ma non sono novità: la cassa integrazione è esattamente la stessa cosa, riduce l'orario e il salario mettendo la differenza salariale a carico della collettività. Ma né la cassa integrazione, né l'orario ridotto, rappresentano una risposta risolutiva». Vuol dire che sono inutili? «Servono solo a tamponare l'emergenza occupazionale, quella legata alla crisi congiunturale, al crollo della domanda, alla recessione. Ma l'obiettivo vero è un altro». E ce lo dica, allora. «Mentre si gestisce la crisi bisogna soprattutto preoccuparsi di creare nuova occupazione, dare delle occasioni a chi entra nel mercato del lavoro o tenta di riconvertirsi». Come riuscirci? «Le spiego. Accanto alla disoccupazione congiunturale, dovuta alla recessione, c'è quella strutturale, legata alla modernizzazione del processo produttivo e della pubblica amministrazione. Ecco: gli sbocchi occupazionali irreversibilmente ristretti dalla modernizzazione devono essere sostituiti». In che modo? «Bisogna individuare nuovi sbocchi nelle attività che non risentono, per definizione, degli effetti della modernizzazione. Non è nelle fabbriche che riducono l'orario per fronteggiare la crisi che si può creare nuova occupazione. I servizi collettivi, innanzitutto: che per essere occupazionalmente proficui vanno però restituiti al mercato, cioè de-statalizzati». Qualche esempio? «Tanti. Pensi ai musei: in futuro la gente vorrà poterci andare in qualunque ora, e quindi i turni di sorveglianza e illustrazione dovranno moltiplicarsi. Lo stesso vale per le strutture sportive, per i servizi logistici collettivi». Non le sembrano palliativi? «Dipenderà dal grado di competizione e flessibilità che si riuscirà a inserire in questi mercati. Non dimentichiamo che il tempo libero aumenterà e, con esso, la richiesta di servizi, e di servizi articolati. Quindi ottimizzare questo sbocco occupazionale significa riscrivere tutta la normativa del lavoro all'insegna della flessibilità: orari, turni e salari. Ma comunque la nostra proposta non si ferma qui». Meno male... «Anche nell'industria, in alcuni settori destinati a svilupparsi, si potrà fare molto». Come? «L'anno prossimo rinnoveremo i contratti con l'adeguamento salariale all'inflazione programmata. Io propongo che nelle aziende più sane, con le migliori possibilità di sviluppo, si incentivi l'imprenditore ad investire in Italia, in attività che assorbano nuova occupazione, anziché far solo investimenti di sostituzione o andarsene all'estero. Riserviamo a queste aziende la possibilità di destinare i margini di reddito stornati dagli aumenti dei salari e dei dividendi a nuovi investimenti utili per creare posti di lavoro. Nessun obbligo, ma una facoltà che imprenditori e sindacati debbono poter contrattare, se lo vogliono, azienda per azienda». Una rivoluzione... «Nei settori produttivi di forte esportazione e nei settori del terziario "sostitutivo" o integrativo dei servizi pubblici gli spazi potrebbero essere molto ampi. Perché negare questa possibilità?». I sindacati temono che si voglia solo impedire aumenti. «Io propongo di inserire nei contratti nazionali di lavoro una clausola che apra questa possibilità, non che la imponga. E che la apra per un periodo limitato: due anni». Ma se un imprenditore vuole investire, lo fa, no? «C'è modo e modo di farlo. Se si vuole, si investe soltanto con l'o- biettivo di sostituire l'occupazione, non di incrementarla». I sindacati non si fidano. Flessibilità ha significato spesso precariato. Non le pare? «Al contrario, semmai la flessibilità nel lavoro, quella che chiediamo noi - i contratti interinali, il tempo determinato, il part-time permetterà di portare alla luce molto lavoro nero e di recuperare gettito fiscale. Gli abusi si possono tranquillamente evitare stabilendo tetti massimi di utilizzazione dei nuovi strumenti». La verità è che le aziende non sanno rischiare... «Tutt'altro, la verità è che le norme sono vessatorie, se non demenziali. Lei pensi che passando da 35 a 36 addetti, scatta l'obbligo di fare un 16% di assunzioni obbligatorie. Risultato: l'imprenditore, se può, resta sempre al di sotto delle 36 unità. E quando ristruttura, se deve tagliare posti fa in modo di scendere sotto la stessa soglia. Alcune associazioni industriali hanno proposto ai sindacati iniziative di riconversione per i cassintegrati, e nessuno ha aderito per non perdere la cassa integrazione in cambio di un posto non del tutto sicuro. Ma in futuro il posto di lavoro tenderà a scomparire a vantaggio dell'opportunità di lavoro». Non sembra che ci sia molto da fidarsi. «Rischiare si deve. Ma con intelligenza, cioè con flessibilità. Prenda l'associazione nazionale dei calzaturieri. Hanno chiesto cinque anni di completa defiscalizzazione per le nuove assunzioni, promettendone 5000 e spiegando che, col maggior reddito prevedibile, l'erario marnerebbe abbondantemente quanto perde defiscalizzando. Ma, per ora, nessuna risposta». Eppure, presidente, sembra strano che lei bocci le esperienze francese e tedesca. E' proprio sicuro? «Andavano bene quando il terreno della competizione era limitato all'Europa. Ora non basta più, perché la gara è diventata globale. Non potremo certo impedire ai cinesi di lavorare 50 ore, quando lo decideranno. E con 32 ore non so come potremmo fronteggiarli. Ecco perché agire sulla leva degli orari legati ai salari è soltanto una misura di difesa, di solidarietà. Non affronta il problema attivamente. In particolare la proposta Volkswagen non è altro che la cassa integrazione italiana con la differenza a carico dei lavoratori anziché dello Stato; diversa è la proposta francese, che vuole incentivare le aziende che riducono l'orario: ma lasciandone loro facoltà, non imponendoglielo». Comunque, in Francia, l'orario diminuirà. «Sì, ma diventerà un orario di lavoro annuale, non più settimanale. L'orario ridotto in realtà si può raggiungere solo liberalizzando, ad esempio con lavoro interinale, part-time, tempo determinato, orario annuale, e non introducendo nuovi vincoli, come la riduzione del tetto settimanale legale da 48 a 40 ore. Nuovi vincoli non servirebbero a creare più lavoro ma soltanto a garantire il potere del sindacato. Bisogna capire che nella società competitiva globale le parti sociali svolgono il loro ruolo se fanno crescere le opportunità, se sviluppano regole che garantiscano automaticamente da eventuali abusi e non se sostituiscono la volontà collettiva alla libera scelta individuale. E' sulla ricerca rapida di regole efficaci per la flessibilità normativa e salariale che noi e il sindacato dovremo misurarci: nel comune, altissimo interesse dell'occupazione. E dovremo tutti decidere di destinare la produttività alla nuova occupazione: è questo il vero contratto sociale straordinario da sottoscrivere». Sergio Luciano «Un blocco solo facoltativo nei rinnovi contrattuali E nei servizi occorre maggiore flessibilità «Salari ferAbete: alt anch«Un bnei rinE nei magg
Persone citate: Abete, Balladur, D'antoni, Luigi Abete, Sergio Luciano
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