Amo due cose: moglie e verità

Le 440 lettere di Darwin Le 440 lettere di Darwin Amo due cose: moglie e verità SI LONDRA ONO sconcertato. Non avevo alcuna intenzione di scrivere cose da ateo I confessava Charles Darwin al botanico americano Asa Gray -. L'approccio teologico alla questione è sempre doloroso per me». E' ancora annerito dal fumo delle battaglie il carteggio darwiniano del 1860, pubblicato dalla Cambridge University Press. Traccia il ritratto di un gentiluomo mite e schivo, alle prese con detrattori faziosi e sostenitori tormentati. Le 440 lettere raccolte nel volume sono una straordinaria testimonianza dei conflitti che arroventarono l'anno primo dell'era darwiniana. Nel 1859 era uscito L'origine delle specie e il padre della teoria era turbinosamente impegnato a rispondere ai suoi critici. «Replicava sempre con molta attenzione a proteste e perplessità, non le accantonava mai con sufficienza - spiega Heidi Bradshaw, vicecoordinatore del progetto editoriale -. Il suo umore oscillava tra l'euforia, quando apprendeva di reazioni positive, e la depressione». I suoi seguaci ardevano tra passione scientifica e turbamenti religiosi. Il botanico Francis Boott gli esprimeva con qualche pomposità le sue esitazioni: «Ho una profonda riverenza per Abramo, Mose e Gesù Cristo, e ho una riverenza simile per Voi, che considero il gran sacerdote della natura. Ma la Chiesa mi condannerebbe al rogo per questo». Solo un manipolo di fedelissimi era disposto a farsi infilzare per lui dalla pubblica opinione: «La battaglia si è fatta rovente come cera liquefatta - gli riferiva l'amico Joseph Hooker -. Lady Brewster è svenuta, gli animi si Darwin, l'evolu onista accendevano, gli altri parlavano e il mio sangue ribolliva». Quel 1860 temprò comunque Darwin, che divenne via via meno sensibile all'atteggiamento denigratorio di colleghi quali lo zoologo Richard Owen. Se all'inizio dell'anno le stroncature lo mandavano ancora in crisi («Dovrei cominciare a pensare di essere nel torto, uno sciocco completo»), col passare dei mesi acquistò baldanza. Le schiere dei sostenitori si infittivano, mentre le armi dei critici si spuntavano: «Potrei scrivermi da solo una recensione più severa di quelle che sono apparse finora!», annotava fiero. Per la fine di dicembre la sua condiscendenza verso gli increduli si era fatta sprezzante. Nell'apportare correzioni alla terza edizione della sua opera, scriveva all'editore: «Ho fatto così per permettere ai miei molti e piuttosto stupidi critici di capire almeno quello che dico». E ancora: «Considero i loro attacchi una prova che il nostro lavoro è valido. Mi sono così risolto a infilare l'armatura». Alle conseguenze teologiche della teoria dell'evoluzione Darwin non voleva pensare. «Evitò di porsi il problema, almeno in apparenza», prosegue la Bradshaw. «Ma osservava le reazioni, come un padre che tiene d'occhio i primi passi del figlio». Dalla sua corrispondenza si ricava l'impressione di un uomo il cui ordine intellettuale e affettivo non aveva bisogno di un Dio per restare integro. Una cosa soltanto aveva lo stesso peso della verità: la felicità coniugale. «La fama, l'onore, il piacere, la ricchezza sono sporcizia in confronto all'affetto». Maria Chiara Bonazzi Darwin, l'evoluzionista

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