Il Dalai Lama: convertirò i comunisti cinesi

«Vivo in esilio, ma dal Tibet mi dicono che qualcosa già si muove» Il Dalai Lama: convertirò i comunisti cinesi «Vivo in esilio, ma dal Tibet mi dicono che qualcosa già si muove» mi PARIGI 'I' ENZIN Gyatso è «il solo 1 capo di Stato che pratica I la meditazione cinque ore lai giorno». Riconosciuto all'età di tre anni come la reincarnazione del Budda della Compassione, Chenrezi, dal 1939 è il XIV Dalai Lama, capo spirituale e temporale del Tibet. In esilio a Dharamsala (India) dal 1959, questo monaco di 58 anni, premio Nobel per la pace nel 1989, percorre infaticabile il pianeta per mobilitare opinioni pubbliche e governi contro l'occupazione del Tibet da parte della Cina. Per tre settimane è a Parigi dove ha assistito alla prima del film di Bertolucci. Lei ha accusato i cinesi d'aver messo in opera una «soluzione finale» al problema tibetano. Che cosa intende? «Quando hanno invaso il Tibet, i cinesi parlavano di liberazione. Erano ancora sotto l'influenza della teoria della rivoluzione mondiale e si aspettavano che i tibetani li accogliessero a braccia aperte. Quando hanno visto che così non accadeva, hanno tentato di assicurarsi la lealtà di una élite che avrebbero formato loro. Poi, di fronte all'insuccesso, hanno tentato una repressione totale, che ha avuto come conseguenza la rivolta del 1959. Dopo la rivoluzione culturale, sono ritornati a una politica più moderata, forse sperando di tirare le masse dalla loro parte. Ma dopo il 1987, hanno capito che i tibetani non si sarebbero sottomessi. Restava una sola opzione: fare dei tibetani una minoranza insignificante all'interno del loro stesso Paese, incoraggiando l'immigrazione in massa dei coloni». Il governo cinese nega che si tratti di una politica deliberata... «Siamo informati di un documento segreto del governo cinese che dimostra il contrario. Se volessero bloccare il flusso dell'immigrazione, potrebbero farlo. Soprattutto nel loro sistema comunista! Ma i cinesi hanno due politiche: quella che proclamano ufficialmente, senza intenzione di metterla in pratica. E quella segreta, che però attuano». Ma lei mantiene aperto il dialogo con loro. «C'è un ponte, ma noi non possiamo attraversarlo. Da parte mia, sono ben deciso a intraprendere negoziati seri. Non ho scelta. La nostra nazione e la nostra cultura rischiano di estinguersi. E il miglior mezzo per salvarle è quello di trovare un accordo con il governo cinese. Ma i cinesi, mentre parlano di negoziare con me, colonizzano il Tibet. Tra qualche tempo, non avranno più bisogno di negoziare. Ho buone ragioni per essere sospettoso». Il negoziato sarà più facile, dopo la scomparsa di Deng? «All'inizio degli Anni 80 abbiamo creduto in lui, lo conoscevamo ed era l'unico capace di prendere decisioni coraggiose. Quindici anni dopo, confido di più in una nuova direzione politica». Lei continua a chiedere alla comunità internazionale di fare pressioni sulla Cina. Si sente appoggiato? «Sì. Ma occorre di più. Televisioni e giornali ci sostengono un po' dappertutto, l'opinione pubblica simpatizza per noi. Anche i governi fanno sapere alla Cina che dovrebbe negoziare con me. Ma qualche volta agiscono solo dietro le quinte...». Ha detto che forse sarà l'ultimo della stirpe dei Dalai Lama. Che cosa intendeva dire? «Il buddhismo tibetano ha più di mille anni. L'istituzione dei Dalai Lama, in paragone, è recente, ha circa 400 anni. Certo, negli ultimi secoli e fino a oggi i Dalai La¬ ma sono diventati il simbolo della nazione e della cultura del Tibet. Ma per il futuro, abbiamo deciso di adottare un sistema democratico. Il Dalai Lama non avrà più un'importanza politica. Sul piano religioso, tutto dipenderà dai sentimenti del popolo». Il ruolo del Dalai Lama va ben oltre il solo Tibet. «E' diventato un personaggio conosciuto in tutto il mondo in quanto massima autorità della religione buddhista. Se la comunità giudicherà importante questa carica, resterà in vita». Il buddhismo ha un ruolo politico importante da giocare nell'Asia dei prossimi anni? «Sì. In Asia, la comunità più importante è la Cina. Quando sarà restaurata la vera libertà di religione, milioni e milioni di cinesi si rivolgeranno al buddhismo, in particolare alla sua forma tibetana, perché è la più autentica e la più completa. Mi hanno detto che tutto ciò è già iniziato...». Patrick Sabatier Copyright "Liberation» e per l'Italia «La Stampa» Tenzin Gyatso, il Dalai Lama