Don Pessina, dopo 47 anni processo senza verità

Perugia, udienza per il prete ucciso Perugia, udienza per il prete ucciso Don Pessimi, dopo 47 anni processo sema verità Furono condannati tre ex partigiani Poi la confessione «sospetta» di altri PERUGIA DAL NOSTRO INVIATO Un salto indietro di quasi cinquantanni: al tempo delle «squadre di vigilanza antifascista», quando i comunisti pensavano di conquistare il potere seguendo una doppia via che fosse - contemporaneamente - legale e da giustizia sommaria. Quanti morti ammazzati dopo la fine della guerra? Lo scontro è stato duro nel triangolo fra Ferrara, Modena e Reggio Emilia. L'ultima vittima, la notte del 18 giugno 1946: davanti alla chiesa di San Martino di Correggio una rivoltellata ha ucciso don Umberto Pessina. Quarantasette anni non sono bastati per scoprire il chi e il come del delitto e probabilmente non sarà possibile rispondere alla quantità di questioni rimaste aperte con il processo che si svolge alla corte d'assise di Perugia. In un primo tempo sono stati condannati Germano Nicolini, Antonio Prodi ed Elio Ferretti. Due anni fa la confessione di William Gaiti, Eros Righi e Cesarino Catellani. «E' stato un incidente... E' partito un colpo...». Tutti ex partigiani, tutti comunisti di fede provata. Ma fra i giovanotti di allora, armati di mitra e di certezze incrollabili ed i nonni di oggi, incanutiti, deboli di vista e malfermi sulle gambe, ci sono di mezzo due generazioni ed un abisso di acciacchi. Troppo tempo è passalo. La memoria degli ex partigiani si concentra nella geografia degli anni del coraggio guerriero, però manca per mettere a fuoco ricordi penalmente più impegnativi. E' un processo di tante verità. L'avvocato di parte civili Stelio Zagarelli, che tutela un nipote della vittima e che - per ruolo - dovrebbe stare con l'accusa, sembra il difensore numero uno. Questa storia non lo convince: la confessione ritardata dei tre imputati di oggi gli appare pretestuosa, viziata dal secondo fine di scagionare un principe del partilo comunista di allora come Germano Nicolini. La difesa tutto il contrario: gli avvocati Romano Corsi, Alfredo Gianoli e Gianni Zagarelli si propongono di dimostrare che i loro assistiti hanno ucciso davvero don Pessina. Ma ucciso in che modo? Per il magistrato che ha ordinato il rinvio a giudizio si tratta di omicidio premeditato: il commando ha organizzato con cura l'agguato ed ha aggredito il sacerdote a colpo sicuro. Per il pubblico ministero Nicola Restivo si tratta piuttosto di un omicidio «volontario non aggravato» provocato casualmente da una pistolettata sfuggita nella concitazione del momento. Ma non è facile dimostrarlo. Che cosa si può pretendere da un teslimone come Aldo Magnani, classe 1903, in lotta con l'ischemia cerebrale e con la necessità di portarsi dietro il genero, l'unico capace di urlargli le domande nell'orecchio? 0 che cosa si vorrebbe da un imputato come Eros Righi, bloccato a casa da un ictus? Vivaldo Salsi, 81 anni, due metri di altezza e una stazza di almeno 100 chili, spiega le «squadre di vigilanza» ■ come una necessità per difendersi dai nemici attorno al pei. «Per i comunisti - precisa - era pericoloso andare a tenere riunioni in campagna. Andavamo in bicicletta, 10-15 chilometri nella notte e nella nebbia». Le armi sono state consegnate ufficialmente il 10 maggio 1945 ma tanti se le sono tenute e le hanno usate. E' la terra di Peppone e don Camillo, afosa d'estate e umida d'inverno, sanguigna e talora violenta, pronta al litigio ed alle passioni. Nella zona del Reggiano dopo la guerra civile, c'è stato il periodo della giustizia sommaria e, dopo ancora, sette delitti che non hanno niente a che vedere con la Resistenza. Dice proprio così Otello Montanari, partigiano, comunista doc, presidente dell'istituto Cervi, autore dell'articolo per chiedere verità «Chi sa, parli». [l.d.b.l

Luoghi citati: Correggio, Ferrara, Modena, Perugia, Reggio Emilia