La notte in cui Rudy Giuliani diede un ceffone a Clinton di Foto Reltter

R Il procuratore batte l'ex sindaco nero per poche migliaia di voti, incertezza sino all'ultimo La notte in cui Rudy Giuliani diede un ceffone a Clinton VITTORIA REPUBBLICANA A NEW YORK R NEW YORK UDY sarà qui in un minuto». Dal palco l'attore Ron Silver spara un sorriso sul pubblico eccitato. Ma Rudy non arriva, non si capisce perché. E' l'una di notte e le proiezioni lo danno sindaco al 100% da mezz'ora. Lo spoglio dei voti è al 95%. «Ru-dy, Ru-dy». «Ho un annuncio per voi». Peter Pow^rs, coordinatore della campagna di Giuliani, chiama il silenzio: «Cinque minuti fa il sindaco Dinkins ha chiamato Rudy e ha ammesso la sconfitta. Rudy sta per scendere». Ma Rudy non scende. Qualcuno deve parlare per guadagnare tempo. Riparlano tutti quelli che erano già saliti prima sul palco del gande Ballroom del «New York Hilton». Non hanno nulla da comunicare, tranne «gioia». Ma che diavolo fa Rudy? Rudy aspetta. Vuole sentire cosa dice Dinkins ai suoi sostenitori tristi e inveleniti. Passerà un'altra ora, prima che Rudy scenda a proclamare la vittoria. Il «Victory Party» di Giuliani era cominciato alle 20,30, quando i seggi erano ancora aperti e quel nome era solo un arrischiato auspicio. Infatti l'atmosfera era ancora visibilmente incerta. Alcuni componenti dell'orchestra di Lionel Hampton, ancora incompleta, strimpellano un po' di swing. Il palco con lo sfondo rosso e la grande scritta «Rudy» è vuoto. Palloncini bianchi, rossi e blu. Cartelli: «Democrats for Giuliani», «Giuliani para alcalde». I voti degli ispanici sono decisivi. Nessuna scritta in italiano. Gli italo-americani sono americani. E Rudolf William Giuliani, nato a Brooklyn il 28 maggio del '44 e cresciuto a Long Island, non ama particolarmente gli italiani. Li conobbe bambino come uomini di Cosa Nostra, quando suo nonno dovette chiudere una tabaccheria dietro l'altra perché rifiutava di pagare la protezione. Gli italiani voteranno per .Rudy lo stesso, anche se lui, da bambino, ha sempre avuto un solo mito: la squadra degli Yankees. Ancora adesso tiene una foto del battitore Babe Ruth in ufficio, vicino a quella della bionda moglie, Donna Hannover, e dei due figli, Andrew, 7 anni, e Caroline, 3 anni. Oltre ai bianchi, c'è qualche nero in sala, parecchi ispanici, una dozzina di coreani, un po' di indiani, e molti, molti ebrei ortodossi con la karmulka sul capo. A Crown Heights i neri uccisero un ragazzo dei loro e la polizia non intervenne. «Quanti di voi sono con Rudy?». «Se ti riferisci agli ebrei religiosi, l'80%». Il grande Lionel comincia a battere sul vibrafono alle 21,20. L'atmosfera è ancora incerta. Alle 21 e 30 il primo boato: lo spoglio dell' 1 % dei voti dice «Giuliani 53%, Dinkins 46%». La gente inneggia Ru-dy-Ru-dy verso i grandi schermi delle tv. «Lidia, perché hai votato per Giuliani?». «Perché Dinkins non è capace. Rudy darà un senso di controllo. Il resto verrà». Lidia Sofer non è repubblicana. «Non sono registrata per nessuno», dice. «Italiano? Sta a sentire - mi fa Dellwyn Merk Rudy è come Fiorello La Guardia, stesse posizioni. E se La Guardia fosse rimasto in Italia, non avreste avuto Mussolini». E' repubblicano Dellwyn? «No, anarchico, in senso europeo». «E come accidenti fai a sostenere un candidato legge e ordine?». «Perché sono anche réalista». Neil Sedaka, alle 22,40, dedica una canzone «al futuro sindaco». Canta in fretta e scappa via. Giuliani e Dinkins continuano a rimanere 50 a 49%, a sei-sette mila voti di distacco, spoglio dopo spoglio. La gente è nervosa. Aspetta la botta finale da Harlem, come l'altra volta. Quando alle 23,40 torna il vecchio Lionel, non è cambiato niente. Lo spoglio ha superato il 60% dei voti. La svolta arriva improvvisa alle 0,20, come un doppio colpo di cannone. Giuliani si porta a 10 mila voti di distacco, ma, soprattutto, la prima proiezione lo dà per vincitore con un margine del 3%. Staten Island e Brooklyn hanno parlato. Esplode una gioia liberatoria. Ru-dy-Ru-dy-Ru-dy. A un isolato di distanza, nella Imperiai Room dello Sheraton New York, fino a qualche minuto fa c'era un'aria più allegra che all'Hilton. Adesso neri eleganti sfoggiano facce cupe. E rabbia. Wallace Ford parla di «abusi» e di «intimidazioni vergognose» dei giulianisti. Annuncia contestazioni. Ma il Board of Elections, esaminate le denunce, le ha già cestinate. Molti piangono. All'1,25, entra Dinkins. Con grazia accetta la sconfitta. Invita più volte, implora, ordina ai suoi di collaborare con il nuovo sindaco. Tutte le volte riceve boati. Rinuncia. Fuori, sulla Settima Avenue, un «bum» nero, un barbone, cerca di raccogliere un po' di elemosine in un bicchiere. Canta «It ain't over till is over», non è finita finché non è finita. Invece è finita. Paolo Passarmi Gli italo-americani gli hanno dato il voto anche se lui non ama particolarmente gli italiani: li conobbe da bambino quando la mafia taglieggiava il nonno E' l'alba: al termine della lunga «notte della vittoria» Rudolph Giuliani mostra il quotidiano «New York Post» che annuncia la sua elezione a sindaco di New York al posto di David Dinkins. La rimonta repubblicana è un segnale preoccupante per il presidente Clinton [foto reltter]

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