I bambini «fuorigioco» di G. Pa.
Fino all'ultimo ha avuto vicino i genitori adottivi. Il 20 dicembre avrebbe compiuto otto anni I bambini «fuorigioco» Sono ifigli di donne sieropositive Li hanno definiti i bambini «fuorigioco», vittime di una malattia che non è la loro, colpiti a volte anche dalla più crudele delle violenze: l'abbandono o la repulsione dei «normali». Sono i figli delle madri sieropositive: in Piemonte, da quando nel 1984 si ebbe il primo caso, sono circa 150-160, in gran parte ospiti di comunità-alloggio o affidati a famiglie. Fu proprio la storia di Roberto e Michelino, nell'87, ad aprire il problema di questi neonati. «Grazie alla strada scelta in quegli anni dal tribunale per i minori di Torino - ricorda il medico legale Virginio Oddone, allora giudice onorario -, che riuscì a trovare una famiglia in grado di farli crescere, si ruppe il ghiaccio della paura. C'era allarme, panico, mancavano risposte sicure. Trovammo la collabora¬ zione delle infermiere, dei servizi, di tanti volontari». Dopo quelle prime esperienze, si è arrivati alla nascita del Registro italiano per l'infezione da Hiv in età pediatrica, al quale attualmente in Italia sono iscritti con la massima riservatezza per la loro identità - circa 3 mila bambini. Spiega il prof. Angelo Tovo, associato all'università presso il reparto infettivi del Regina Margherita: «Il bambino figlio di una donna sieropositiva non è necessariamente infetto dal virus Hiv. Dopo i primi 7-8 mesi di vita si verifica se è rimasto contagiato. Dai nostri studi abbiamo constatato che la percentuale è del 18-19 per cento». Quindi soltanto un neonato su cinque arriva al virus, tanto che i figli di madre con Aids sono definiti «anticorpo-positivi alla na¬ scita», come lo si può essere rispetto al virus del morbillo o dell'epatite. Si sono fatti anche studi sulla loro sopravvivenza: Dice il prof. Tovo: «La mortalità è molto alta nel primo anno di vita, poi sono arrivati all'età di dieci anni il 60 per cento dei sieropositivi». Attualmente l'ospedale Regina Margherita non ospita alcun bambino in queste condizioni: vengono a fare i controlli, le analisi periodiche. Molti riescono ad avere una vita normale e a andare a scuola. La difficoltà maggiore, per loro, non è però legata alla malattia, ma al mondo che li circonda: il 40 per cento ha soltanto un genitore e problemi psicologici di crescita. «Il rischio - dice Oddone - è che la coppia che li ospita si chiuda a riccio di fronte alle prime difficoltà». [g. pa.]
Persone citate: Angelo Tovo, Tovo, Virginio Oddone
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