In settantamila: «Addio Federico »

Cinecittà, grande folla nella camera ardente allestita in un teatro Cinecittà, grande folla nella camera ardente allestita in un teatro In settaittamila: «Addio Federico » Ma Giulietta Masina ha preferito la solitudine ROMA. In una sediolina di prima fila - a destra dell'altare e di fronte al catafalco - Giulietta Masina aspetterà questa mattina, alle 11, che nella basilica di Santa Maria degli Angeli arrivi la bara con le spoglie di Federico Fellini. Nel Teatro 5 di Cinecittà ieri non è andata. Erano stati preparati per lei due cuscini di raso, azzurri come la moquette che ricopriva la pedana su cui era poggiata la bara e come il nastro che sormontava le cento roselline rosse accompagnate dalla scritta «La tua Giulietta». Ma lei non ha voluto vedere la camera ardente. Ha tenuto spento tutto il giorno la televisione, perché quelle immagini non la distogliessero dal filo dei suoi pensieri sui tempi felici che ha vissuto a fianco del compagno della vita. «Quello è un omaggio a Federico, un rapporto fra Federico e il suo pubblico» ha detto. Nell'appartamento di via Margutta continua a piangere e a pregare, a raccogliere e riporre tutte le testimonianze di affetto che arrivano: telegrammi, lettere, le poesie dei bambini che hanno incontrato sul piccolo schermo la magia delle invenzioni felliniane, i biglietti dei negozianti del centro storico che erano abituati ad incontrare di continuo il Maestro. Quando i cancelli di Cinecittà si sono aperti, alle 9 del mattino, Giulietta s'è messa a guardare la cassetta dello speciale mandato in onda la sera prima dal Tgl con brani di interviste al regista in occasione di premi, primi ciak, annuncio di nuovi film: non aveva visto il programma perché, da quando la sua malattia e quella di Federico sono venute a spezzarla, tutti i suoi orari sono sballati e lei - ormai - dorme fra le otto di sera e le tre della notte. L'omaggio al Maestro è stato un crescendo di visitatori ed emozioni. Nel pomeriggio la stazione della metropolitana a Cinecittà era intasata. Comparse, tecnici, attori erano stati i primi a entrare nel mitico Teatro 5. Molti avevano la barba lunga per la veglia notturna e il lavoro serrato di questi due giorni. Percorrevano il lungo corridoio definito da cordoni rossi, si dirigevano verso la grande inquadratura di cielo che occupava lo sfondo e, davanti al feretro, rimanevano muti, immobili. Nei viali dello stabilimento tornavano a parlare e ricordare, ad abbracciare - con occhi ardenti di lacrime - i nuovi arrivati. Nello studio, sotto la luce dei due riflettori, tutti gli sguardi erano puntati su quella bara cui rendevano onore due carabinieri in alta uniforme e due vigili urbani: «Una bella scena. Sembra un film diretto da lui. Così, fra due carabinieri, sembra una scena di Pinocchio. A Fellini sarebbe piaciuta» ha detto Ettore Scola. Alla destra della pedana, su due file di sedie, via via si sedevano i familiari di Fellini e della Masina, gli amici e i collaboratori più stretti. Pietro Notarianni - il compagno del regista nella preparazione e lavorazione di quasi tutti i suoi film, il testimone più partecipe delle sue infinite traversie nei rapporti con i produttori - sembrava il padre di questa grande famiglia rimasta ad un tratto orfana, senza il protagonista dell'avventura del cinema italiano. Notarianni raccoglieva abbracci e lacrime, ricordi e racconti. Ciascuno portava un frammento della propria vita, intrecciato a quella del Maestro. E parlando di Federico si continuava a parlare di Giulietta, della loro lunga tenace unione. E Fellini diventava premessa di discorsi seri, teneri, divertenti. «Federico mangiava anche due volte, la sera, se si era dimenticato di telefonare a casa e di avvisare Giulietta» sorride Claudio Ciocca, proprietario di un ristorante ai Castelli Romani dove - dice - «Federico veniva anche di pomeriggio, senza avvertire, per stare solo, prendere un tè, parlare». Ninetto Davoli, l'attore preferito di Pier Paolo Pasolini, racconta: «Io non ho mai lavorato con lui. Io appartengo a un altro mondo, il mondo pasoliniano. Ma lo amavo moltissimo. Pier Paolo diceva che era un genio. Io ci scherzavo. L'ultima volta che l'ho visto gli ho detto: "A Federi', quanto te costa farti la barba? te lo pago io il barbiere!" scherzavo» e scuote la gran testa di riccioli che ancora lo fanno sembrare un folletto, un alieno con una sua impensabile innocenza. Lina Wertmùller torna indietro nel tempo: «Sono entrata in questo studio la prima volta come assistente di "8 e 1/2". Questo era il suo vero mondo, la sua casa». Il pianto le spezza la parola: «Mi piacerebbe trovare una bella battuta...». Si riprende e dice: «Federico ci ha insegnato a non perdere mai l'ironia. E' riuscito a farci sorridere quasi sempre. Non amava il pianto, lui». Suso Cecchi D'Amico piange in silenzio, coprendosi il viso. C'è una lunga pausa e i fotografi continuano a puntare i loro obiettivi e i loro flashes in un rituale che ha qualcosa di irreale e assurdo - sulle fac¬ ce contratte di queste persone accomunate da un lutto che non tollera commenti. Silvia D'Amico a chi le chiede notizie di Giulietta, se Giulietta verrà a rendere omaggio al marito, mormora in un singulto: «Giulietta vuole solo morire». Il popolo del cinema è smarrito. C'è la crisi della società italiana e del cinema, ci sono gli attacchi al mondo della cultura e dell'arte. Lo sottolineano Franco Rosi e Citto Maselli, i politici e le autorità. Ma ogni emozione ruota sempre intorno alla figura di Fellini, alla seduzione della sua arte e la fascinazione della sua persona. Racconta Notarianni, ridendo: «Quest'estate andò sul set del film di Tornatore. Gli disse: "Il cinema muore. E voi sembrate una pattuglia giapponese, l'ultima che non s'è accorta che la guerra è finita"». Giuseppe Tornatore è commosso: «Continuamente mi sollecitava a lavorare. Mi ricordava che occorre fare film, misurarsi nei risultati che magari non sono immediatamente soddisfacenti o non riescono come si vorrebbe. Federico insisteva. Perché credeva nei giovani. Li confortava con la sua esperienza e la sua fiducia». Fiammetta Profili, per 13 anni segretaria e figura-ombra di Fellini, piange sulla spalla di Notarianni: «Federico ha cambiato la mia vita. Mi mancherà terribilmente. Abbiamo lavorato fino a maggio, al film che aveva in mente e di continuo cambiava. Poi smettemmo. Doveva farsi operare. "E' inutile - mi disse -. Ho la testa altrove". Aveva timori. Però non pensava neppure, alla morte». Dei difficili ultimi mesi, dello choc per la malattia di Giulietta, del timore di non poter ritrovare l'autonomia e il vigore di prima, sanno tutto gli amici più intimi. «Ha voluto morire. Non aveva più fiducia. "Ma cosa ne sanno questi medici di come io sono, di come io mi sento?" mi disse sabato, il giorno prima che tutto precipitasse. Aveva perso la speranza» ripete Claudio Ciocca, le labbra in una piega di pianto. «Sì, era pieno di timori. Ma sapeva ironizzare, ridere e far ridere sulla sua situazione. Il venerdì lo andai a trovare con mio fratello - racconta Mario Longardi, da 25 anni il suo ufficio stampa -. Il giorno prima era voluto andare in libreria. Sulla carrozzella. Con un medico e un'infermiera. Com'era andata? "Come in un film di Stanlio e Ollio, con tutti i gesti che non erano quelli giusti" rispose, mimando le sue limitazioni, le difficoltà dei suoi accompagnatori. Fu un pomeriggio divertentissimo». Arrivano Ciampi e Spadolini, Napolitano, Occhetto, Maccanico, Voci, Zavoli, Antonioni, Mastroianni, Pontecorvo, una delegazione del cinema sovietico, Monica Vitti, la Laurito, la Marchini, la Parietti coi tacchi a spillo e la Ekberg con cappello da cow boy in testa e una rosa rossa in mano. Continuano gli inchini, le riflessioni, i giudizi. Luciano De Crescenzo commenta: «E' come se fosse morto un papà per tutti noi, per noi del cinema e per tutti gli italiani». Sul registro delle firme appaiono disegni, ricordi, ringraziamenti. Firme note, nomi sconosciuti. Parole che raccontano momenti lontani. Uno ha scritto: «Luglio '39: Quattro supplì! Ricordi? Rinaldino». Davanti al feretro, in silenzio e senza mai creare incidenti, sfilano più di 70 mila persone. Un campionario umano dei più vari. Un popolo su cui Fellini avrebbe rivolto tutta la sua insaziabile e amorosa curiosità. Ecco le due sconsiderate, donne di forte stazza che in passato hanno fatto le comparse in sue pellicole, che urlano, invocano l'idolo scomparso, protendono platealmente le braccia verso la bara, si accasciano al suolo. Ecco chi porta fiori, chi lancia verso la bara bigliettini e poesie. Gente che viene da lontano: una coppia da Napoli, un gruppo dal Veneto. Coppie anziane. Studenti con gli zainetti pieni di libri di scuola. I morbosi: «Ma lui perché non lo possiamo vedere morto?». I fans del momento spettacolare: «E la Masina? La Masina viene o no? Ci conviene aspettare?». I romantici: «Una storia d'amore come quella di Federico e Giulietta neanche nei romanzi la trovi». Facce attente. Facce addolorate. Rispetto. Esibizionismo. Gli sfaccendati. I giovani, moltissimi ragazzi. A Fellini sarebbero piaciuti. Alla presentazione del «Satyricon», in una notte di neve, al Madison Square Garden di New York, dopo un concerto rock, presenti diecimila drop-out, hippies, sbandati, disse: «Io vorrei essere giovane, oggi». Liliana Madeo Due carabinieri sull'attenti accanto alla bara del Maestro Scola: «Gli sarebbe piaciuto sembra una scena di Pinocchio» Fiori e poesie Gruppi di giovani Due donne robuste sue ex comparse lo invocano e poi svengono Arriva Anita Ekberg vestita da cow-boy con una rosa rossa A destra, il presidente del Consiglio Azeglio Ciampi. Sopra, immagini della folla che ha reso omaggio alla memoria di Fellini A sinistra, i carabinieri in alta uniforme vegliano la salma del regista. Sotto, Marcello Mastroianni Da sinistra, Lina Wertmùller, Gillo Pontecorvo e Paolo Villaggio. Sopra, Anita Ekberg

Luoghi citati: Napoli, New York, Roma