«Somalia, massacro made in Italy»

Rapporto del Congresso, e l'Onu denuncia: caos dopo il ritiro dei Caschi Blu Rapporto del Congresso, e l'Onu denuncia: caos dopo il ritiro dei Caschi Blu «Somalia, massacro mode in Italy» Gli Usa: Roma principale fornitrice di armi WASHINGTON. E' stata fornita dall'Italia, tra il 1978 e il 1985, la maggior parte delle armi usate dalle bande in Somalia: lo sostiene un rapporto presentato al Congresso americano. Gli altri maggiori Paesi fornitori sono stati, nell'ordine, ex Urss e Usa. Il rapporto, pubblicato dal centro di ricerca del Congresso, coincide con un nuovo viaggio in Somalia di Robert Oakley, l'inviato del presidente Bill Clinton. Secondo indiscrezioni riprese da alcuni giornali, Oakley potrebbe incontrare a Mogadiscio il generale ribelle Mohamed Farah Aidid, colpito da un mandato di cattura dell'Onu. Fonti ufficiali hanno negato ieri che un tale incontro possa avvenire, ma hanno confermato che Oakley incontrerà alcuni collaboratori di Aidid, tra cui il responsabile della politica estera del suo clan, Issa Mohammed Siad. Secondo il rapporto, l'Italia ha venduto alla Somalia armi per 520 milioni di dollari. Le forniture sovietiche ammontano a 270 e quelle americane a 154. L'autore del rapporto, Richard Grimmet, è un esperto di traffico internazionale di armi. La maggior parte delle informazioni gli è stata fornita dal ministero della Difesa e dalla «Arms control and disarmement agency», un'istituzione federale. La Somalia cominciò ad acquistare quantità massicce di armi negli Anni 70, quando era alleata dell'ex Urss. A partire dal 1978, i rapporti con Mosca peggiorarono e il governo di Siad Barre stabilì buoni rapporti con l'Italia. Secondo Grimmet, la collaborazione di Roma consentì a Barre di costituire un esercito relativamente forte. A partire dal 1982, anche gli Usa inviarono a Mogadiscio armi e ricambi per le forze armate: soprattutto mezzi blindati per il trasporto delle truppe, ma anche impianti radar. Esperti americani addestrarono i militari somali fino al 1989, quando i Paesi occidentali cominciarono a prendere le distanze dal regime. Quando nel 1991 Barre venne estromesso dal potere, l'esercito si disintegrò e le armi che dovevano fare della Somalia una potenza regionale con¬ trapposta all'Etiopia filosovietica caddero nelle mani delle bande. Un altro rapporto, intanto, dipinge a tinte fosche il futuro della Somalia: lo ha preparato il sottosegretario generale dell'Onu e lo ha presentato al Consiglio di sicurezza. James Jonah sostiene che l'operazione di disarmo delle fazioni e delle bande ha subito una battuta d'arresto che avrà gravissime conseguenze. Secondo le infor¬ mazioni raccolte dallo stesso Jonah durante la sua recente missione in varie capitali africane, i vari gruppi somali si stanno armando di nuovo e si preparano a riprendere la guerra non appena le truppe Usa avranno abbandonato il Paese. L'impressione generale ò che una volta partiti i militari americani, verranno ritirati anche gli altri contingenti e l'operazione dell'Onu in Somalia si esaurirà poco a poco. Jonah ha quindi sottolineato che gli uomini di Aidid non vogliono negoziare con le Nazioni Unite, ma soltanto con gli Usa, un atteggiamento questo che frustra tutti i tentativi di avviare un serio dialogo fra le fazioni somale. Jonah ha tenuto a precisare che la sua relazione contiene gli stessi elementi del rapporto che, «in linguaggio più diplomatico» il segretario generale Boutros Ghali presenterà al Consiglio di sicurezza entro il 18 novembre, giorno in cui scadrà la proroga del mandato dell'Unosom e bisognerà decidere come gestire il futuro dell'operazione. Negli ambienti Onu si spera che Ghali avanzi proposte concrete allo scopo di evitare l'affossamento della missione dopo il ritiro del contingente Usa, fissato dal presidente Clinton per il 31 marzo. lAnsa-Agi] Un miliziano somalo a bordo di una jeep per le vie di Mogadiscio