Non si dicono «cicciolinate» a una «lappola» di Marco Neirotti
Non si dicono «cicciolinate» a una «lappola» Il Manuale della parolaccia: il vecchio turpiloquio resiste, ma la politica cambia il mondo degli improperi Non si dicono «cicciolinate» a una «lappola» Lo scrittore Aldo Busi: «La volgarità dipende da chi usa una parola» ~~F*\ CEMO scemo. Ovvero Lj scuola di democrazia 1. & Insulto corale degli Anni I j Settanta usato soprattutI to per impedire a un oratore di esprimere in modo chiaro il proprio pensiero». «Provocatore», invece, è «chiunque si permetta di avere un'opinione critica su quello che il politico di turno sta affermando come se fosse il Vangelo». Mentre «parco buoi» è la «delicata definizione del Parlamento secondo Bettino Craxi (dai giornali, 14 ottobre 1983)». Ma ci sono anche il sesso in tutti i suoi appellativi di uso corrente, l'insulto diretto e tradizionale che si impara all'asilo o in casa dai genitori, ci sono i sostantivi rispettabili che un uso accorto può trasformare in in¬ vettive. Tutto in un educativo libretto che si intitola Piccolo manuale della Parolaccia (edizioni della Spiga), scritto da Valentino De Carlo, giornalista autore di libri seri, alcuni dei quali dedicati alla storia di Milano. Che gli è preso a De Carlo per mettere in ordine alfabetico il turpiloquio violento, calibrato o gentile, dal rude «abbrancare» al morigerato «zuccone»? Spiega lui: «Esiste ai nostri giorni un certo pudore nell'usare parole gentili e complimentose nei riguardi del prossimo, mentre ben pochi evitano di involgarire la conversazione anche con semplici interiezioni. Così un innocuo stupido è promosso sul campo a testa di cazzo». Con pazienza, De Carlo ha sfruttato amici, conoscenti, sfoghi di strada, articoli di giornale e serate televisive per guidarci tra «ammucchiate» e «cicciolinate», «culattacchioni» e «fallocrati». All'ormai banale «idiota» fa da contraltare la raffinata «lappola», da appioppare alle donne gelose e soffocanti, giacché si tratta del nome di una «pianta erbacea con frutti provvisti di uncini che, per far viaggiare i propri semi, si attaccano agli abiti delle persone o al vello degli animali». C'è tutta la trivialità corrente, intercalata a nuove forme di insulto, figlie di espressioni nobili stravolte dai tempi: il «garantista» è sì «l'etichetta riservata ai sostenitori di uno Stato fondato su garanzie costituzionali», ma «peccato che il ga¬ rantista spesso esageri e finisca per avere più a cuore la salute degli aggressori che non quella delle vittime: tanto chi muore giace e chi resta deve pur darsi pace. Gli antigarantisti e coloro che vorrebbero delle garanzie anche per le vittime sono considerati sovversivi: di destra, naturalmente». La politica, Tangentopoli, la malasanità aggiungono significati alle voci dei dizionari. Qual è il confine tra parolaccia e parola per bene? «E' in chi pronuncia, in chi usa una termine», dice lo scrittore Aldo Busi, spesso accusato di oscenità. «Nella vita di tutti i giorni le parolacce non fanno parte della mia oralità, ma se le uso le sottopongo a un progetto letterario e allora non sono diverse dalle altre parole». Nello scrivere ne usa molte. «Per uno scrittore cazzo e anima valgono lo stesso. Se scrivi anima due volte in un libro, diventa di una volgarità tremenda. Posso usare dei termini per dare un senso di oscenità, ma non se mi fa passare per volgare». E i grandi dispensatori di parolacce come Miller e Bukowsky? «Mi sono indigesti, in loro non sono mai letterarie. Sono dei compilatori». Il suo Seminario sulla gioventù dell'84 fu stroncato per il linguaggio: «E' vero. E negli ultimi tre anni viene letto nel biennio finale del liceo. Tutto dipende da chi scrive o pronuncia una cosa: se io dico una media sciocchezza sembrerà più intelligente di una genialità detta da un cretino. Quando ero ragazzo, chiesi a Montale che cos'è la poesia. Rispose: è chi la fa. E mi spiegò: la merda detta da uno è merda, detta dall'altro è un poema». Marco Neirotti Nuovi insulti da Tangentopoli, ma anche dalla botanica Aldo Busi: il suo primo libro venne considerato osceno. A sinistra, Henry Miller
Luoghi citati: Milano
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