Alla fine l'impero s'è «fuso» di C. R.

Dal disastro della Finsider al disco rosso della Comunità Dal disastro della Finsider al disco rosso della Comunità Alla fine l'impero s'è «fuso» IRONIA della sorte. Cinque anni fa l'Uva, nata dalle ceneri della Finsider, era stata tenuta a battesimo da Romano Prodi. Anche in questa occasione, a firmare la pietosa pratica dello smantellamento, è toccato ancora a lui, Romano Prodi, tornato alla presidenza dell'Iri, che, prima di partire per Tokyo, in cerca di compratori, ha anche dettato l'epitaffio di un gruppo che ha chiuso l'ultimo bilancio con 2309 miliardi di perdita e 7583 miliardi di debiti. Il 5 maggio 1988, quando Prodi firmò l'atto di nascita della nuova Uva, l'acciaio di Stato era schiacciato da 1300 miliardi di perdite e oltre 10 mila miliardi di debiti. Il dramma della siderurgia pubblica sta tutto qui, in queste cifre. Certo, in cinque anni è passata molta acqua sotto i ponti pubblici: l'Italimpianti, che allora fu «girata» all'Iri, è riuscita ad essere incorporata nella Iritecna. C'è stata la trasformazione dell'Ili in Spa, ma c'è stata anche una recessione senza precedenti che nella siderurgia come in altri settori ha assunto livelli negativi catastrofici. Queste ed altre cause di natura più specifica dell'industria pubblica hanno portato ad un secondo tracollo. Così, il copione si ripete: l'acciaio si spezza, questa volta in tre tronconi, due «ripuliti» e da privatizzare, il terzo destinato «al macero». Eppure, la prima liquidazione, dal punto di vista strettamente industriale, si era conclusa in tempi record: nel giro di due anni infatti la maggior parte del patrimonio residuo era stato monetizzato, molti creditori pagati, molti lavoratori ricollocati nell'Uva. Ma evidentemente, tutto ciò non è bastato. Come non è servita la politica delle grandi alleanze (joint ventures internazionali, accordi casalinghi con Falck e Lucchini). E così si arriva all'atto finale. Si tentano ristrutturazioni, l'Uva preme sull'Iri per ottenere «mezzi freschi» (per far fronte a investimenti e fabbisogno) ma incappa nella crescente difficoltà dell'Iri nel farvi fronte. Poi ci si mette la Cee che impone, nel rispetto dei programmi comunitari, tagli sempre più onerosi alla produzione di acciaio. Siamo a quest'anno, Gambardella lascia. Al suo posto si insedia il giapponese Nakamura. La navigazione è nel pieno delle rapide. Si decide la scissione in tre società. Le prime due (Uva Laminati piani e Acciai speciali Terni) sono destinate alla privatizzazione, la terza si avvia al capolinea con debiti per 8492 miliardi e perdite per 5745 miliardi. [c. r.]

Persone citate: Falck, Gambardella, Lucchini, Nakamura, Prodi, Romano Prodi

Luoghi citati: Tokyo