Ideologie? Nessuna, solo storie

Ideologie? Nessuna, solo storie Ideologie? Nessuna, solo storie Poesia-anagramma di Roberto Benigni QUEL SABATO LAVORANDO Donne - Casanova Alla fine del mio film, Casanova danza con un automa femminile, una grande bambola, un simulacro di donna: io m'identifico con Casanova non come superamante, ma come uno che non può amare le donne perché ama un'idea fantasmatica della donna. Mussolini, Rossellini Uno mi portò all'Ari, la società di produzione cinematografica di Vittorio Mussolini. Lo conoscevo. L'avevo visto spesso sulla spiaggia di Riccione, dove i Mussolini andavano d'estate, e anche al Grand Hotel di Rimini. Parlammo un po' di ragazze di Rimini che tutt'e due conoscevamo, poi mi dette da leggere la vita di Bottego, esploratore in Africa, e due romanzi di Emilio Salgari, «I predoni del Sahara» e «Gli ultimi Tuareg»: «Vedete voi». In quell'Ufficio Soggetti di Vittorio Mussolini faceva apparizioni saltuarie Roberto Rossellini. Eravamo quasi totalmente oziosi, lì in via Francesco Crispi a Roma. Con Rossellini stavamo affacciati a finestre contigue e parlavamo come due carcerati, uno di qua, uno di là, commentando le donne che passavano: io avevo vent'anni, lui ne avrà avuti ventisette. Rossellini sapeva fare fischi alla pecorara straordinari, potenti, stridenti. Fischiava alla finestra, al richiamo spuntava un ragazzino cameriere del bar all'angolo, a segni lui gli ordinava maritozzi con la panna: e parlava poi della panna per venti minuti. Quando appariva Vittorio Mussolini esplodeva un improvviso fervere di lavoro, ostentavamo d'essere occupati e zelanti come di fronte a un professore oaun padrone, facevamo a gomitate per accompagnarlo giù: e subito ricadevamo nel nostro ozio. Vitellone? Mai I miei protagonisti de «I vitelloni» sono abbastanza attempati, venticinque, ventotto, trent'anni. Io sono venuto via da Rimini che avevo diciassette anni. Non li frequentavo neanche. Sì, potevo vederli, ai biliardi o, d'inverno, sul lungomare, giovanotti incappottati che sfilavano a braccetto, che d'estate s'atteggiavano a conquistatori delle ragazze, che s'accompagnavano a casa l'un l'altro immersi in chiacchiere prive di ogni senso. Ma quel lento trascorrere del tempo da una bella stagione all'altra, quell'irresponsabilità, quella vita di provincia inerte, sonnolenta, ristagnante, opaca, nebbiosa, io non ho avuto proprio modo di viverli. Film, bugie, verità La domanda che la gente mi ripete sempre, tra imbarazzo e tirata d'orecchi, è: «Ma perché fa dei film dove non ci si capisce niente?». A forza di sentire questo ritornello, comincio a pensare anch'io di fare film dove non ci si capisce niente. Ma questo non mi sconforta: quando si è sinceri come me è giusto che ci si capisca poco. E' la bu- già che è chiara. La bugia la capiscono tutti. Ma la verità è molto difficile da afferrare. Un uomo, quando parla di se stesso, sinceramente, si presenta nel suo aspetto più contraddittorio. Canzoni per sempre Seguitano a piacermi per sempre le canzoni che ho conosciuto subito dopo la seconda guerra mondiale: quelle che erano l'accompagnamento della nostra scoperta dell'America, «Rosamunda», il boogie-woogie, «Moon Valley» di Glenn Miller, «Fascination», «Begin the Beguine»; e quelle che esprimevano la nostra desolazione, «Munasterio 'e Santa Chiara», «Solo me ne vo per la città», «Dove sta Zazà» che è un capolavoro, un gioiello. Tra le canzoni meno remote, una sola m'ha dato gli stessi brividi, la reazione scoperta di chi si sente ineluttabilmente aggredito: «New York, New York». Malattia Ho bisogno di odiare il film a cui sto lavorando, di considerarlo un tormento, una pena ingiusta, sproporzionata, immeritata: nel corso del tempo questo stato d'animo è diventato via via più nevrotico. Non so perché mi accada, perché debba considerare nemico il film e la sua realizzazione, quando invece so che è la mia situazione ideale, quasi la felicità. Forse ho bisogno di sentirmi solo, condannato; oppure di non essere identificato col film, per poter nel caso dire che non sono io ma lui a essere sbagliato, confuso, ignorante. Non so mai cosa rispondere quando al termine d'un film mi chiedono: «Sei contento?». Dico: «Sono contento perché è finita», come risponderei uscendo da una malattia: fare un film, come ogni altro atto creativo, ha un aspetto morboso, patologico. Aggiungerei: «Sono contento perché adesso posso ammalarmi di nuovo». Televisione, odiata Non sono uomo dagli sdegni incontenibili: però la televisione, plagiarne in marnerà pericolosa, mi fa proprio infuriare. Come il gioco del calcio. Tutto quello che tende a formare un collettivo, a condensare un consenso, a omologare, mi ispira massima diffidenza, mi re¬ spinge: gli assembramenti, i cortei, le processioni, i week end, i comizi, le feste, tutti i cerimoniali motivo di raduno e di riunione, mi mettono in stato di infelicità. Forse temo che la massa mi cancelli e annulli; forse questa ripugnanza è una difesa provvidenziale di un'individualità che so poco distinta; forse è l'esaltazione dell'Ego, inevitabile in un mestiere come il mio, che somiglia a quello di Papa o di Re. Senza ideologia Non sono protetto, sostenuto, guidato da nessuna ideologia, né religiosa né politica: sono veramente un cantastorie. Raccontando storie non parto da un'idea, tanto meno da un'ideologia: parto da un sentimento, da ricordi, suggestioni, personaggi che ho incontrato, nostalgie o presentimenti, cercando di vedere dove quel racconto vuole andare e, soprattutto, come vuole essere raccontato. POESIA-ANAGRAMMA DI BENIGNI PER FEUJNI Ricco d'idee, infedele cieli di fiori crei Leccornie, donne, Dei Non c'è freno, direi L'inferno ed il delirio del dolce circo dice: Eccolo lì, è Fellini L'infido Re Felice. L'ultimo sabato in cui Fellini poteva pensare a parlare, il 16 ottobre, di pomeriggio, in ospedale a Roma si lavorava come al solito. Domande, risposte: «Ha uno o più conti bancari in Svizzera?», «Ne ho cinquanta, e altri trenta a Montecarlo, sei a Santo Domingo, otto a New York, dodici ai Caraibi»; «Le piace Antonioni?», «Siamo delle stesse parti e, una volta sciolto il trio Rossellini-Visconti-De Sica, ci mettevano sempre in coppia, Fellini-Antonioni...». Intervistare Fellini, lavorare con lui per libri come «Un regista a Cinecittà» o «La voce della luna», è stato negli anni un grande privilegio, un grande piacere: narratore e parlatore seducente, visionario della realtà, creatore anche verbele d'immagini bellissime, conoscitore dei media, non deludeva mai l'interlocutore. Quelli che qui pubblichiamo sono testi di Fellini del tutto o in parte inediti, testimonianza d'un dialogo per il quale già si prova struggente nostalgia. [1. t.] L'attore Roberto Benigni con Fellini ha girato «La voce della Luna»