Re-prigioniero di Cinecittà

«Rossellini è per me come Adamo: una specie di progenitore» Re-prigioniero di Cinecittà La voglia matta di «Prova d'orchestra» UNA GIORNATA DEL MAESTRO CON DEL BUONO OUELLO che mi preoccupa», dice Federico Feliini, e non pare di buonumore, rettifica, si corregge subito, sminuendo e accentuando il suo stato d'animo, «quello che m'infastidisce, quello che mi scoccia è che di questo filmetto si possa dare, forse è inevitabile che si dia, un'interpretazione politica, una riduzione rozzamente politica...». Si ferma, mi fissa con indubbia severità, come se fossi stato io, ad avanzarla, una simile interpretazione riduttiva, rozza e riprovevole. «Bisognerebbe proprio evitare una cosa del genere. Ma come evitarla, se è inevitabile?...». E' chiaro che non sono in grado di fornirgli una risposta valida. Una qualsiasi risposta, anche invalida. Riprendiamo a passeggiare in attesa che la prima copia di Prova d'orchestra sia pronta per la proiezione d'assaggio, una proiezione assolutamente non ufficiale per interpreti e amici d'infanzia. Cinecittà è deserta. Attualmente Feliini, con i suoi fedeli, è l'unico cliente. Il pomeriggio radioso evidenzia la solitudine, i nostri passi risuonano intimiditi, il verde, che prima o poi dovrà pure essere vinto dall'autunno, ammicca in toni quasi commoventi di commiato, gli edifici dei teatri di posa e degli uffici, anche se ridipinti di recente in un appetitoso color biscotto, non nascondono la loro decadenza. Feliini interpreta con molta naturalezza la parte dell'ultimo regista del cinema italiano, dato e non concesso che di cinema italiano si possa continuare a parlare. {(Prova d'orchestiu, s'intitola il mio filmetto, e racconta appunto una prova d'orchestra. Perché non accontentarsi di questa spiegazione? La storia di come un branco di orchestrali pigri, divisi, rissosi possa unirsi nell'esecuzione perfetta di una cosa pensata da un altro. Un'utopia realizzata...». Il primo a non accontentarsi della spiegazione appena fornita è, ovviamente, Feliini. Non se ne accontenta per nulla, sebbene ostenti di convincersene. «Un filmetto girato in fretta, per la televisione, in diciotto giorni lavorativi. Diciotto giorni, mettitelo in mente, perché magari pure tu credi alla favola di Feliini lo Sprecone. Poca gente, giusto i professori dell'orchestra, e mica sono tutti professori sul serio. Di professori autentici ce ne saranno quattro o cinque. Gli altri, però, hanno la faccia da professori autentici, hanno la faccia dei loro strumenti, gli somigliano. Era tanto tempo che volevo raccontare una prova d'orchestra. Se la lavorazione de La città delle donne non fosse stata bruscamente interrotta, non me la sarei tolta, questa voglia, ma, trovandomi disoccupato, mi sono ricordato di un contrattino firmato con la televisione in un momento d'incoscienza, e, già che c'ero, ho prova¬ to a rispettarlo. Immodestamente, ti dico che ho fatto quello che volevo fare...». Feliini è a Cinecittà dall'anno scorso. Ci è venuto per girare La città delle donne, un soggetto progettato dapprima come la metà di un film in collaborazione con Ingmar Bergman, abbandonato, ripreso, riabbandonato, ripreso un sacco di volte in seguito, ripreso, pareva definitivamente, per una produzione curata da Franco Rossinelli per Bob Guccione, il padrone di Penthouse. Poi il progetto de La città delle donne è stato riabbandonato, pareva definitivamente, ma Feliini ha continuato ad abitare quello che è ormai il suo appartamento a Cinecittà, e, all'occorrenza, può essere il cicerone più informato e sugge- stivo di questo dolce e malinconico deserto. Siamo sul bordo della cosiddetta piscina, uno stagno non proprio rassicurante, ai margini del quale si ergono nei primi veli del crepuscolo minacciosi casermoni d'appartamenti in costruzione. «Si avvicinano, si avvicinano», dice Feliini, con un certo languore, e, infatti, i cantieri sprofondano nell'acqua nell'impazienza di guadare lo stagno. «Ce li troveremo qui dentro una di queste mattine. Il terreno di Cinecittà è di proprietà del principe Torlonia, e lui aspetta solo che scada la concessione. Un valore di centinaia e centinaia di miliardi per la speculazione. Se invece si sapessero fare le cose sul serio, Cinecittà potrebbe essere il più grande centro cinematografico europeo, più grande di quello di Pinewood, più grande di quello della Bavaria Film. Con il ciclo completo. Ma si vogliono fare le cose sul serio?...». Sospira nel nugolo di moscerini che ci assale. «Sono capitato per la prima volta da queste parti quarant'anni fa. Come giornalista. Inviato di Cinemagazzino. Avevo diciassette o diciotto anni. Cinemagazzino era diretto da un sarto, un sarto, non un sardo, il titolare della Premiata Sartoria Reanda di via Gregoriana. Mi ero presentato chiedendo di collaborare, e lui, sputando i suoi spilli da sarto, mi aveva detto di provare a intervistare Osvaldo Valenti. Così ho preso il tranvetto azzurro che partiva dalla stazione per Cinecittà...». Torna a sospirare, e il nugolo di moscerini si infittisce. «Stavano girando La corona di ferro. Valenti era in piedi su una biga. Ma i miei occhi si sono votati a quell'altro. Lassù, a mille metri d'altezza, su una poltrona Frau saldamente avvitata alla piattaforma della gru, gambali di cuoio, foulard di seta indiana, un elmo in testa e tre megafoni, quattro microfoni e una vernina di fischietti al collo c'era lui, Alessandro Blasetti o il Regista...». Sono i moscerini sempre più impazziti a riportarci al chiuso per la proiezione. Il buio in sala imita il buio che ormai si addensa fuori. E, dunque, ecco apparire l'auditorio decaduto dove si svolgerà la prova d'orchestra, ecco arrivare alla spicciolata gli scalcagnati orchestrali, ecco presentarsi il direttore d'orchestra non molto meglio messo ma ancora dotato di pretese, ecco rinnovarsi, inasprirsi e degradarsi il loro dissidio. Certo la riduzione rozzamente politica è tentazione persino troppo facile. L'auditorio che sta andando a pezzi è la nostra povera patria, la conflittualità permanente è l'incapacità ad accordarsi dei partiti, la rissosità degli orchestrali è l'anarchia degli italiani, il direttore, prima contestato, poi quasi invocato, è quel dittatore che ogni disordine insanabile parrebbe suggerire come necessario. Tentazione persino troppo difficile da respingere, la riduzione rozzamente politica, ho l'impressione che, quando Prova d'orchestra uscirà dal recinto di Cinecittà, Feliini sarà più chiacchierato dello stesso Leonardo Sciascia: non si tratta davvero del semplice racconto di una semplice prova d'orchestra. Ma ho pure un'altra impressione, ho l'impressione di trovarmi davanti alla confessione più turbatamente privata di Feliini dopo Otto e mezzo. La vita per il prigioniero di Cinecittà è il cinema. Il cinema da Regista, da Maestro, da Direttore d'Orchestra. Ma nello stesso tempo Feliini è visceralmente nemico di ogni dittatura individuale o collettiva... Oreste del Buono Nell'autunno 78 Federico Feliini incontrò Oreste del Buono a Cinecittà. Ecco il resoconto della giornata, pubblicato sulla Stampa il 15 ottobre di quell'anno. A destra una scena del film «Prova d'Orchestra»