Mamme a rischio in fila con il pancione di Maurizio Lupo

Mamme a rischio in fila con il pancione Mamme a rischio in fila con il pancione Per presentare i certificati che chiedono di non farle stancare certificato d'astensione anticipata dal lavoro a norma della legge 1204 del 1971. La situazione dovrebbe essere chiara: la futura mamma deve stare a stretto riposo, non fare viaggi in auto, né sui mezzi pubblici. Eppure qui nella stanza 22 la coda di gestanti con problemi di gravidanza è quotidiana, con tanto di pancioni in attesa del permesso di stare tranquilli. Sarà un permesso di un mese, talvolta di 40 giorni, come propone l'Usi. Per rinnovarlo le visite sanitarie e le pratiche dovranno essere ripetute, anche se il medico ospedaliero ha diagnosticato dall'inizio la necessità di un'intera maternità a riposo. Un controsenso? La burocrazia non lascia alternative. E' la gestante che deve firmare la domanda all'Ispettorato, nella stanza 22, dove riscrive le generalità, l'indirizzo della ditta dove lavora e le mansioni, informazioni già garantite dai certificati che allega alla pratica. Ma questo la mamma incinta lo scopre solo quando è alla fine dell'ennesima coda, nella stanza 22. Le presentano il foglio di domanda del certificato, dove deve ripetere tutto. Alla burocrazia piace. Anche il coniuge può ritirare il modulo, ma non compilarlo: «Deve tornare con la firma della moglie e un documento». Così c'è sempre il sospetto che qualche marito mariuolo per risparmiarsi un altro viaggio «giri l'angolo e compili in segreto» a nome del coniuge le informazioni anagrafiche richieste, por poi riproporsi dopo nuova coda. Ma la burocrazia non è mica scema: c'è la funzionarla che controlla la conformità della firma apposta sulla domanda con quella del documento d'identità. «Allora confessa? L'ha firmato lei o no?». Ma è importante sottoscrivere il già noto per una procedura che può apparire vessatoria nei confronti di chi dovrebbe proteggere? La «La firma di sua moglie sulla pratica non appare identica a quella apposta sulla carta d'identità. Confessi, lei ha firmato al posto di sua moglie. Confessi e le rilascio l'atto. Se non confessa accolgo la domanda, ma ci rivedremo. Metterò la firma a confronto con quelle che dovrà ripresentare». Parla una severa funzionarla dell'Ispettorato provinciale del Lavoro, al terzo piano di via Arcivescovado 9, nella stanza 22. Dinanzi ha il marito di una donna con gravidanza a rischio. Chissà perché lo sospetta di aver cercato di abbreviare l'iter burocratico. Forse perché quell'ufficio chiede di sottoscrivere informazioni già fornite. La condizione della moglie, fatte debite prenotazioni, attese e code, è stata diagnosticata e certificata all'ospedale, quindi confermata dal medico legale dell'Usi, come dispongono le pratiche consegnate all'Ispettorato per ottenere il funzionarla tace. La presunzione a priori che vi sia sempre in agguato un furbo deciso a evadere l'ovvio parla per lei. «E' la prassi vigente», sdrammatizza sconsolato Giuseppe Morreale, responsabile del personale dell'Ispettorato. «Una volta era anche più severa». Spiega che i suoi dipendenti fanno del loro meglio, specie nella stanza 22. «Vi lavorano tre assistenti, una è ragioniera, le altre hanno la terza media». Ogni giorno affrontano per prime prò blemi legali e sociali che richiedono approfondite competenze. «Non è facile», dice Morreale «Vuole un esempio? Il ministero da un anno ci impone eh adottare bollatrici per sorvegliare entrata e uscita del personale, ma non le manda, lo sono riuscito a farmi regalare da una ditta una vecchia bollatrice fuori uso. Quando potremo la faremo funzionare». Maurizio Lupo

Persone citate: Giuseppe Morreale, Morreale