Gerusalemme si gioca l'anima di Fiamma Nirenstein

il caso. La città compie tremila anni: martedì le elezioni del sindaco decideranno il suo futuro il caso. La città compie tremila anni: martedì le elezioni del sindaco decideranno il suo futuro Gerusalemme si gioca l'anima Mosaico di etnie in pericolo o definitiva unità? MGERUSALEMME ANCA ormai poco (due anni) al trimillennio di Gerusalemme. Perché 1 mai una città che compie tremila anni dovrebbe stupirsi di avere un sindaco di 83 anni, e che la governa da 26? Gerusalemme in questi giorni che precedono le elezioni del 2 novembre è piuttosto assorta nella domanda escatologica sul suo futuro, che sempre ricorda un po' quello del mondo intero. Sarà una città, secondo la concezione di Teddy Kollek, il vecchio sindaco, di molte etnie, religioni, culture vicine ma lontane, un vero puzzle pronto anche forse a spaccarsi politicamente? Oppure, secondo l'idea dello sfidante, un crogiuolo dove si tenta di fondere tutte le storie insieme, e quindi forse destinato per sempre all'unità politica? Oggi è questa la grande partita che si gioca fra un ottantatreenne monumentale e un quarantottenne rampante, ed è una gara senza esclusione di colpi. Teddy è stanco, Teddy ha avuto tre operazioni difficili in due anni, Teddy si addormenta quasi sempre durante le riunioni ed è costretto a rispondere in continuazione a umilianti punzecchiature giornalistiche riguardanti la sua forza fisica, il numero di ore che può lavorare. Ma lui apparentemente se ne infischia: ribatte che è l'unico sindaco con tre telefoni diretti sul tavolo, da cui risponde di persona alle richieste dei cittadini; ribatte che lui lavora dodici ore al giorno, che affronta con le sue proprie mani le aggressioni dei cittadini infuriati che vogliono picchiarlo e di quelli innamorati che vogliono baciarlo: «In confronto a quindici anni fa, sono più lento nel camminare; ma non nel pensare o nel decidere. Corro per sindaco perché Gerusalemme attraversa il suo momento cruciale dopo il 1967. Come posso, io, assentarmi dal processo di pace, dalla mia città?». Le elezioni saranno martedì prossimo, 2 novembre; fino a qualche tempo fa era semplice¬ Mio figlio morto sotto la valanga Ho letto su La Stampa dell'altro giorno un articolo di L. Tornabuoni «No a quella foto di Fellini». Sono pienamente d'accordo con la decisione presa dai giornalisti, ma vorrei che si tenesse conto dei «momenti cruciali di fragilità» di ognuno di noi, che godiamo di uguali diritti e che, come già si era accennato a proposito della bomba di Milano, non venissero diramate via tv le generalità di chi è morto, senza avere la sicurezza che i parenti stretti siano già stati informati. Non so se si ricorda la valanga del Pavillon, dove morirono 12 persone tra cui «un architetto milanese con la sua bambina» (i giornali lo definirono così). Io, madre e nonna, ero in Austria e solo alle 19 di sera fui rintracciata da uno dei miei fratelli, che dovette darmi la notizia per telefono, lasciandomi delle speranze. «Jacob era con loro ed è qui... li stanno ancora cercando». Sono partita da sola col primo treno e ad Innsbruck, dove aspettando all'una di notte la coincidenza, un anonimo venditore di wienerll ha cercato di incoraggiarmi in inglese, dicendo che vi erano casi di sopravvissuti anche a due, tre giorni sotto una valanga. Più tardi, arrivato il nuovo treno, è stato il conduttore del wagonlit a aiutarmi, facendomi te, camomilla, e cercando di distrarmi. Ringrazio molto ora queste due ignote, umanissime persone. Io speravo ancora, immersa in un sogno orribile, ma pur sempre soglio. La realtà mi è stata di fronte con tutta la sua forza alle 8,30 coi primi pendolari. Sulla prima pagina dei loro quotidiani campeggiava la fotografia di Francesco con la bimba, una fotografia fatta da me il giorno del battesimo in una fredda giornata di un dicembre. Fotografia «rubata», credo dall'Ansa, in casa, dalla camera da letto di mio figlio, approfittando della buona fede di mente pazzesco bestemmiare il nome di Kollek, l'uomo che ha tenuto insieme il perverso mosaico di minoranze l'una contro l'altra annata immaginando che qualcuno potesse sostituire il signor Gerusalemme, il vecchio ragazzo ashkenazita che a vent'anni, nella sua Vienna, trattò con Eichmann la liberazione di tremila giovani ebrei. Ma ultimamente Ehud Olmert, quarantottenne del Likud (il partito moderato, quello, per intendersi, di Shamir, mentre Kollek appartiene alla sinistra) già per due volte ministro audace e riformatore, ragazzo prodigio, di tratto sveglio e colore rossiccio, sembra minacciarlo da presso. Così dicono i sondaggi che li vedono ormai testa a testa. Alle elezioni di Gerusalemme si vota in due volte, una per il sindaco, e una per la lista politica dei candidati consiglieri. La lista laborista di Kollek, «Una Gerusalemme», ha controllato almeno 16 seggi dei 31 del Consiglio. I partiti religiosi ne hanno 10 almeno, più quelli del Likud che ammontano a quattro o cinque... Ma sembra, dai sondaggi, che Olmert possa portare il Likud a prendere sette seggi, anche con l'aiuto del suo vice, David Cassuto, un architetto carismatico religioso (porta la kippà) che si presenta con la qualifica di indipendente, presidente della Comunità italiana in Israele. «Come ho fatto ad avere il coraggio di sfidare Teddy? - Olmert parla con la ruvidezza israeliana -, Prima di tutto non sono un ruki, un novellino; da vent'anni sono sulla breccia, ho incontrato quasi tutti i leader del mondo, anche il vostro Andreotti. La cosa più difficile non è scontrarsi con Teddy, che è un uomo come tutti gli altri, ma con il suo mito, con l'immagine che lui è stato bravissimo a costruire. Perché Teddy è soprattutto un grande uomo di pubbliche relazioni e un grande attivista di fund raising. Questo sì: ba trovato nel mondo tanta simpatia e tanti, tanti soldi per Gerusalemme. Ma quel che ha fatto dentro Gerusalemme... è LETTERE AL GIORN un'altra cosa. Guardi quante sono le chiacchiere di Kollek sugli arabi, sulla possibilità di convivere insieme, le tre religioni, le etnie; e poi si faccia una passeggiata vicino alla Porta di Damasco. Se va a Gerusalemme Est troverà infatti servizi pessimi, strade disselciate, scuole disastrate. Ha investito solo il 4 per cento del bilancio per una popolazione che raggiunge il 20 per cento. Eppure, passa per il grande amico degli arabi. E' un esempio della sua bravura nel vendersi». Kollek, in realtà, ha un buon rapporto con la parte araba della popolazione: nel 1983, uno dei seggi della sua coalizione fu preso con il voto arabo. Fu più avanti, con l'acuirsi del conflitto e con l'avvento dell'Intifada ebe gli arabi smisero di andare a votare. Ultimamente Teddy ha marciato con gli arabi contro gli israeliani che avevano occupato alcune case nel quartiere antico di Silwan. Adesso il vecchio sindaco spera di nuovo di avere gli arabi dalla sua; e pare che alcuni notabili locali abbiano già raccomandato di non astenersi dal voto. Così come alcuni leader religiosi di quelli più ortodossi, in genere distanti e anche antagonisti rispetto alla manifestazione della vita civile, hanno dato indicazione di votare Olmert. Insomma, Gerusalemme tutta freme di fronte a queste elezioni decisive. La partita che si gioca, infatti, è ben più grossa del consueto: se così non fosse, Teddy non avrebbe lasciato che si sbattessero i suoi 83 anni su tutti i manifesti della città, non avrebbe subito la tortura di essere messo in questione per qualcosa contro cui non è possibile far niente; né avrebbe attaccato Olmert senza tregua, accusandolo di bassezze, furti e malcostume politico come fa un novellino alle prime armi della politica. Invece non c'è angolo di Gerusalemme da cui i due antagonisti non gridino il reciproco odio. E la nervosità degli attivisti porta a scontri frequenti, rabbiosi e anche fisici. Gerusalemme e al bivio del processo di pace. E' anzi il suo osso duro, la mela d'oro a cui tutti tendono. Gli israeliani la considerano dal 1967 la capitale unica e indivisibile del loro Stato; l'Olp ne reclama una parte e gli integralisti musulmani la vogliono tutta; la componente cristiana avanza a sua volta le richieste e il sogno papale, a stento confessato, dell'internazionalizzazione. Qui si giocherà la partita del fu- ALE età», dice Olmert. «E mi dispiace vederlo utilizzato così cinicamente, un così grande personaggio, da un partito, solo perché alla sua ombra, ombra di una grande quercia, non è potuto crescere nessun altro albero». «Dissi così - risponde Kollek perché ero in un momento di grande stanchezza, dopo una malattia. Ma ora sto bene e mi sembra di poter ancora essere utile a Gerusalemme». Certo, più utile di Olmert il cui passato è oscurato dalle accuse di corruzione e anche, che è peggio, da un certo sospetto di inconsistenza. Teddy se ne va da solo per le strade, senza attivisti e senza guardie del corpo. La gente vuole toccarlo, vuole parlargli. Il vecchio leone ostenta tutto il suo stile bengurionista, con la camicia bianca dal collo aperto, sopra il colletto della giacca; Olmert, invece, marcia in stile americano, con una cerchia di molti ragazzi sulla cui t-shirt è impresso il suo nome. Il suo gruppo è di buon umore nonostante il grande nemico che si trova di fronte. La sfida del futuro rende infatti i gerusalemitani più cauti. E poi, quasi tutti i grandi amori, come quello fra Kollek e Gerusalemme, un giorno, purtroppo, finiscono. Fiamma Nirenstein