I cavalli volano (se vi distraete) di Emanuele Novazio

L'esperimento di uno psicologo Usa L'esperimento di uno psicologo Usa I cavalli volano (se vi distraete) BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Ci crediamo, se leggiamo che i cavalli alati esistono? Sembra impossibile ma ci crediamo: almeno in un primo momento, mentre il nostro cervello analizza il significato della frase. Ci rendiamo conto che Pegaso è un'invenzione della fantasia soltanto in un secondo tempo, quando la verità della frase viene «provata» e inserita nella porzione di memoria giusta: quella, nel caso specifico, che ci riporta all'invenzione. E' pressappoco quel che sostenevano i filosofi tre secoli fa; ma adesso c'è la prova fisiologica, e gli esperimenti di laboratorio confermano quella vecchia intuizione: crediamo a tutto quello che leggiamo. Dunque attenzione, ma nel vero senso della parola. Perché il dottor Daniel Gilbert, uno psicologo americano del quale si è occupata la Zeit, ha dimostrato che se qualcosa ci disturba mentre leggiamo una frase falsa, il meccanismo del riconoscimento e della prova s'inceppa, e noi la prendiamo per vera. Il nostro cervello non ha fatto in tempo a controllare, lo abbiamo distratto prima. Ecco come Gilbert l'ha provato, servendosi per i suoi esperimenti di un gruppo di persone che fingevano di dover giudicare finti imputati. Seduti davanti a uno schermo, i «giudici» dovevano leggere i particolari di un crimine. Ma ricevevano anche informazioni false: se ne accorgevano immediatamente, però, perché erano scritte in rosso. Per esempio, quando leggevano «Il rapinatore aveva una pistola», i «giudici» sapevano che non era vero. Ma ecco il tranello: insieme alle frasi false, comparivano sullo schermo anche dei numeri. E Baruch Spinoza quando arrivava il cinque, dovevano schiacciare un pulsante. Risultato: nonostante i «giudici» sapessero che le frasi scritte in rosso erano false, spedivano lo stesso in prigione gli «imputati», e con una pena doppia rispetto a quella che sarebbe loro toccata davvero. Le false informazioni erano considerate un'aggravante. Se invece non si concentravano nella ricerca del numero cinque, e non suonavano il campanello, i «giudici» non si facevano sviare: la sentenza era corretta. Gilbert spiega questo clamoroso esito rifacendosi a Spinoza, il filosofo che per primo ha teorizzato la nostra fragilità di fronte alla parola scritta. Quando leggevano le frasi false i «giudici» vi credevano, in un primo momento, per poterle comprendere. Ma siccome dovevano subito concentrarsi sui numeri per individuare il cinque, non tornavano sulla verità della frase appena letta. Non la controllavano, non la mettevano nella sezione di memoria giusta: quella che l'avrebbe fatta riconoscere per falsa, appunto, in quanto scritta in rosso. Rimanevano alla prima fase, alla verità presunta ma non ancora accertata. Gli uomini, commenta lo psicologo, sono «creature credulone», per tutti noi «è più facile credere che dubitare». E la chiave forse è nell'evoluzione: per la natura, ipotizza Gilbert, è più facile fare accettare al cervello parole e frasi senza sottoporle a verifica. Si è andati avanti così per milioni di anni, probabilmente, perché il controllo non serviva. Il meccanismo di verifica si è sviluppato quando ci si è accorti che il nostro prossimo poteva anche mentire. Come dire che il peccato originale è la bugia. Emanuele Novazio Baruch Spinoza

Persone citate: Baruch Spinoza, Daniel Gilbert, Spinoza