Io mia sorella e il proibizionismo

Io, mia sorella e ilproibizionismo Io, mia sorella e ilproibizionismo DIECI domande a Woody Alien su questo suo nuovo film così brillante e affascinante. «Misterioso omicidio a Manhattan» si può definire una commedia americana classica. Voleva dimostrare che si possono ancora fare film simili? «Fare un film di stile americano classico è possibile, mentre quel che da anni non esiste più negli Stati Uniti è un genere specifico: la commedia su un'inchiesta poliziesca. Mettere insieme risata e mistero è molto complicato, e volevo provarci almeno una volta... A esser diventate davvero rare sono le commedie per adulti: la comicità contemporanea è molto infantile. Ci sono cose riuscite nel genere delirante, alla maniera dei Monty Python, ma sono particolari; invece i film comici con persone normali, che parlano normalmente e agiscono normalmente, sono diventati un'eccezione»... In «Misterioso omicidio», New York, o meglio Manhattan, sembra quasi una scenografia. Le strade sono praticamente vuote e prive di colore locale, manca quell'aspetto documentario presente nella maggior parte dei suoi film precedenti. «Ho filmato le strade come erano, non ho provato a creare o a ricreare un ambiente. Ma in realtà non ho mai fatto del documentarismo su New York: la mia Manhattan è un luogo soggettivo, un'idea personale, una prospettiva interiore. La città che si vedeva in film come Manhattan o Alice era reinventata. In questo film, poi, volevo evitare tutto ciò che potesse essere folcloristico o simbolico, volevo che i miei personaggi fossero meno caratterizzati possibile». Scrivendo il film, di solito ne ha già in mente gli interpreti? «Nel caso di Misterioso omicidio a Manhattan, scrivendolo sapevo già che io avrei interpretato il personaggio maschile, ma pensavo che sarebbe stata Mia Farrow a interpretare la moglie: il che cambia tutto. Mia è molto intelligente, "scava" i suoi personaggi, diventa un'altra: può recitare Cechov o Shakespeare, mentre Diane non può. Diane Keaton può recitare Diane Keaton: ruolo in cui è eccellente e soprattutto molto divertente. Nel copione iniziale, la donna era riflessiva e il pazzo sovreccitato ero io. In confronto a Mia, io sono pazzo; in confronto a Diane, sono normale. Tutto lo spirito del film è quindi cambiato». Anche lei, come Diane Keaton, può interpretare soltanto se stesso? v «Sicuro. Io recito sempre lo stesso personaggio. Poco tempo fa m'hanno chiesto di recitare in un testo di Shakespeare e ho rifiutato: non ne sarei stato capace». Nei suoi film si ritrovano scene molto simili: a esempio i pranzi al ristorante, op¬ pure i dialoghi notturni di coppia in camera da letto, prima d'addormentarsi, spesso dopo aver passato la serata fuori. E' una scelta? «Più che una scelta, è la mia idea della vita quotidiana, dei rapporti tra abitanti d'una grande città moderna. Si parla con la propria moglie la sera andando a letto, si parla con gli amici al ristorante. E' l'unico tipo di vita che io conosca». Situazioni simili permettono ai personaggi di commentare quel che hanno fatto, di raccontare gli avvenimenti della giornata all'altro se era assente, o di confrontare reciprocamente il modo in cui hanno vissuto la stessa esperienza. «Questa "seconda volta", questa ripetizione parlata di quanto spesso gli spettatori hanno visto succedere, e in cui ciò che i personaggi si dicono diventa un inganno oppure un oggetto di scambio, mi sembra contenere grandi possibilità comiche. In Misterioso omicidio a Manhattan la situazione è un po' particolare. Le scene di chiacchiere intime nella camera da letto che confina con l'appartamento del supposto assassino consentono di mostrare la vicinanza tra i due mondi: il mondo quotidiano dei personaggi recitati da me e da Diane Keaton e il mondo del delitto. Volevo che gli spettatori avessero costantemente l'impressione che il vicino potesse ascoltare i discorsi della coppia in camera». Un vicino autorevole e cordiale che forse è un assassino, a meno che tutto non avvenga nella mente del prota¬ gonista, a meno che a forza d'immaginarlo tutto non diventi reale... E' un modo di riassumere il suo film, ma è anche una sintesi di «Barton Fink» di Joel e Ethan Coen. «Barton Fink m'è piaciuto moltissimo. E' divertente, strano, originale. E' vero, i due film possono essere riassunti in modo analogo, ma la tecnica del racconto è talmente diversa che in fondo non si somigliano affatto». Sembra che ci sia ora una certa rinascita del cinema indipendente americano. I film prodotti al di fuori delle Majors sono ormai tanti da non essere più casi isolati. «Jim Jarmusch, Spike Lee, Steven Soderbergh, i fratelli Coen sono stati i pionieri di questa rinascita, e adesso i cineasti indipendenti risultano abbastanza numerosi da stabilire una continuità. Di fronte alla crescita vertiginosa dei costi industriali, film come El Mariachi offrono alle Majors, che non sanno più realizzare film con meno di 35 milioni di dollari e che fanno fiaschi tremendi, la prova che si può lavorare in un altro modo e ci si possono anche guadagnare soldi». Lei ha appena cambiato produttore? «Io ho avuto molta fortuna. Ho lavorato con Artisti Associati, con Orion, ultimamente con Tristar: in realtà avevo sempre gli stessi interlocutori, passati da una società all'altra. Con loro ho potuto sempre realizzare i miei film come volevo, con la libertà e i mezzi di cui avevo bisogno. Ero davvero un privilegiato. Ma poi è successa una cosa straordinaria: la mia migliore amica, Jean Doumenian, ha creato una propria società di produzione, la Sweetland Films, e l'ha creata insieme con mia sorella Lettie Aronson. Ne parlavamo da anni, era il nostro sogno, ci dicevamo: tu farai una società di produzione, io farò i film, lavoreremo insieme... E adesso è accaduto davvero. I prossimi tre film li realizzerò per la Sweetland. Per me la situazione non potrebbe essere migliore, è perfetta». Quale sarà il primo di questi film? «Una commedia ambientata a New York negli anni del proibizionismo, con un punto di vista moderno su quel periodo e quel fenomeno, ma anche con gangsters e spari. Speriamo bene. Per me è difficile, estremamente difficile filmare gente che si spara addosso: è una forma di brutalità così remota da me. In Misterioso omicidio a Manhattan la scena di spari era necessaria, ma non sarei mai riuscito a farla senza l'aiuto di Orson Welles». Jean-Michel Frodon Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa»