Rivolta a scuola in nome di Jurassic

Rivolta a scuola in nome di Jurassic Venti istituti sono già occupati, altrettanti in agitazione Rivolta a scuola in nome di Jurassic Nasce a Genova il movimento studentesco '93 GENOVA. Non ha ancora 19 anni, confessa di essere trotzkista, porta al collo la «kefiah». E' Cristiano Abbondanza, studente dell'istituto per geometri «Buonarroti» (800 allievi), da tutti indicato come uno dei maggiori leader di Jurassic School, il movimento studentesco che si è abbattuto come una valanga su Genova da un mese. Cristiano è alto, magro, con la barba, volto ispirato. Pare che abbia il carisma per guidare gli altri: «Ma attenzione - ammonisce - il nostro è un movimento del tutto apolitico. I partiti o i sindacati che tentino di strumentalizzarci faranno un buco nell'acqua». Ma perché Jurassic School? «Non è un nome uscito dalla nostra fantasia, ce l'hanno affibbiato i cronisti, anche se i dinosauri; sono quelli del Ministero, del Comune, della Provincia, del Provveditorato: tutta gente che cerchiamo di svegliare». Cristiano Abbondanza dirigerà un giornalino che si affiancherà ad un altro esistente e molto diffuso, «La Voce». Fanno sul serio. Venti istituti sono occupati in permanenza nelle 24 ore, altri 20 fanno agitazioni «a singhiozzo», in trentamila mangiano e dormono su brandine, giacigli di fortuna, stuoie, sacchi a pelo, nelle aule abbandonate. La città si è accorta di questi «ragazzi del '93» sabato, quando in settemila hanno invaso la piazza della Fiera Internazionale rendendo arduo l'ingresso al Salone Nautico. E nel comitato di guida c'era Cristiano Abbondanza che aveva invitato il movimento a non frazionarsi, a non gridare slogan sui singoli istituti. Così cantavano tutti «la scuola in piazza», parole e musica del giovanottone con la kefiah. Il quale fu denunciato qualche tempo fa, con alcuni compagni: faceva musica a volume troppo alto a Palazzo Ducale. Anche per questo, una certa ammirazione lo studente Abbondanza la suscita. Ieri, durante lo sciopero, gli studenti in lotta - diventati Cipputi per una mattinata - hanno sfilato in centro: piazza De Ferrari, il cuore di Genova, ha assunto l'aspetto di una curva da stadio. Un brulicare di chiome ricciute e bizzarre, accanto a quelle grigie dei molti, troppi cassintegrati. Si gridava: «Scuola genovese ancora arroccata ai tempi delle grandi famiglie, quando veniva punito chi alzava la voce». Si direbbe, leggendo il manifestino diffuso dal comitato di lotta del «D'Oria», il primo dei licei genovesi, il più tradizionale, dove per generazioni studiarono gli uomini che fecero la «superba». Il manifestino ha per titolo: «Al liceo D'Oria la libertà non esiste». Vi si afferma fra l'altro: «Gli allievi non possono partecipare a manifestazioni studentesche. Chi vi partecipa si vede ritirare il libretto delle giustificazioni, così che la sua assenza non è giustificata. Questo vuol dire limitare la libertà democratica». Separazione netta, comunque, dai Cipputi autentici: «Quelli - afferma Mario Lavelli, 18 anni, indicando gli operai - hanno tutta la nostra solidarietà. Ma sono politicizzati o sindacalizzati. Noi no». Si raccolgono sfoghi: «Al Leonardo da Vinci una ragazza è stata brutalmente spintonata, uno studente con un cerchietto d'oro al lobo destro è stato rimandato a casa, ci sono presidi che non vogliono capire le nostre ragioni». C'è in città uno strano, malvagio contrappasso: mentre il decreto Jervolino ammassa studenti in classi già affollate per tagliarne altre, le fabbriche espellono operai a getto continuo. Sembra una cartina di tornasole dei mali di Genova, rattrappita in una burocrazia soffocante, con il porto in pieno collasso, 60 mila iscritti al collocamento. Ragazzi fuori casa giorno e not¬ te, thermos di caffè e panini, famiglie in ansia. Se qualche insegnante mostra di capire, perché ha fatto il sessantotto, ci sono genitori anziani che hanno una diversa mentalità. C'è anche in sottofondo uno scontro di culture, fra la buona borghesia genovese e Jurassic School. E ci sono presidi che sobbalzano vedendo allievi col codino o con l'orecchino. «La professoressa di Scienze mi ha intimato di tagliarmi la barba», protesta uno studente del quartiere di Albaro: lui la barba l'ha tenuta, e a scuola non ci va. Liceo artistico «Barabino» in viale Sauli, in pieno centro della città: uno striscione appeso alla cancellata definisce la scuola «Barabino Korps». Gli allievi sono 510, in 23 classi, vi sono soltanto 15 bidelli per 50 aule. Dice uno dei leader del comitato di lotta, Federico Nascimbene: «Le nostre proteste sono quelle degli altri istituti occupati. Guardi questo edificio: ha 25 anni, ma è come se avesse un secolo. Le strutture sono in pauroso degrado, in certe aule bisogna disegnare con l'ombrello perché la pioggia filtra dai tetti, vi sono vetrate rotte. Gli orari sono assurdi. Spendiamo mezzo milione l'anno per i libri, sempre più cari; dobbiamo comprarci album da disegno e soprattutto la plastilina. Dovremmo compiere visite a città d'arte, musei, mostre. Ma per questo abbiamo a disposizione in media un giorno e mezzo l'anno». L'inizio tutto genovese di un nuovo '68? Tutti rispondono di no, affermano che questa è una protesta civile. Niente '68, niente post-Pantera, niente imitazione. La lotta è cambiata. Telefonini cellulari e fax hanno in gran parte sostituito gli altoparlanti, certi appuntamenti ai diversi comitati di altre scuole vengono inviati col computer. Lotta anche contro la scuola che non parla di problemi moderni, dalla Resistenza ad oggi. Domanda ad uno studente del D'Oria. Cos'è la scuola? Risposta: «Una esercitazione di pressapochismo, una fabbrica di disoccupati». Guido Coppini «Laboratori e aule cadono in pezzi Palestre fantasma» Hanno copiato il nome dal film «Mai veri dinosauri stanno al ministero e in Provveditorato Noi siamo apolitici» Ieri il grande corteo Nelle due foto in alto momenti dei cortei studenteschi che hanno attraversato Genova ieri e nei giorni scorsi bloccando anche gli ingressi del Salone Nautico

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