Mille telefonate di insulti nelI'Sos eli Radio radicale

Dieci segreterie: chi rutta, chi canta chi grida: viva il duce Rimandate in onda le telefonate oscene di 7 anni fa. Subito si scatenano gli ascoltatori Mille telefonate di insulti nelI'Sos eli Radio radicale :: :::::: :: :: :::' : V::::: :: :: : ::.; :;:: :: :: : ':: :: ::: ::: :;:::: ::: :::: ■ : '■: '• :■: '■: o :':■:■ :■>:•: o::: EMITTENTE IN CRISI E CCOLI, sono ritornati. «.Sigh Heil!» strillano dentro la cornetta da Civitavecchia. «Terroni bastardi!» s'inseriscono da Monza. E «bastardi», così, generico, senza mittente, senza destinatario, chissà da dove... Numero di telefono 486655, 06, come si dice, per chi chiama da fuori Roma. Hanno risposto in massa, al di là del tempo, ricollegandosi alle chiamate dell'estate del 1986 che da ieri Radio radicale rimanda in onda, con un piccolo spazio di spiegazione, senza quasi avvertire che si trattava di materiale d'archivio. Oggi come allora telefona chi intende lasciare una dichiarazione di affetto o di solidarietà per l'emittente costretta a sospendere la programmazione per problemi economici. Ma come sette anni fa telefonano soprattutto quegli altri: gli aggressivi, gli ossessivi, gli erotomani più sconsiderati, i tifosi più disperati, i drogati, gli innamorati, i vecchietti e i bambini scandalizzati, i fascisti, i leghisti, i nazisti di tredici armi, gli incerti esistenziali («Io, czz, non so proprio che czz voglio...»), i poeti inconsapevoli e pure Peppina, di Castelfranco Veneto, che consegna ai microfoni un messaggio di buon senso: «Non insultatevi, divertitevi!». Figurarsi. Intanto la radio ritrasmette il bontempone del 1986 che prende in giro l'accento dei sardi: «Capitto mi hai'?». E allora ai centralini subito si scatenano i sardi veri del 1993, alcuni offesi, altri minacciosi, tutti convinti comunque che il dileggio era di giornata. Si alternano con il telefonatore scrupoloso che odia il tg3 e come in un rito di inimicizia pronuncia il nome e via, yffnclì, redattore dopo redattore. Come sospeso nel tempo, eppure plausibile, il serpentone teleradiofonico conferma lo choc di quell'«energia maledetta», come la definì a suo tempo Pannella, e si trascina dietro un nuovo pezzo di coda. A partire dalla mezzanotte e mezzo dell'altroieri, le telefonate sono cresciute a ritmo esponenziale toccando il picco la sera, come la febbre. Alle 17 di ieri, secondo la valutazione del caporedattore Fabio Franceschetti, nell'arco delle prime 24 ore avrebbero sfiorato quota mille, che è davvero un'enormità pei il primo giorno. Il genio mediologico radicale non ha ancora stabilito quando verrà mandata in onda l'alluvione di fango del 1993. Forse oggi, forse domani. Di sicuro c'è solo che nel 1986, con quattro segreterie telefoniche (oggi sono dieci), per arrivare a mille telefonate dovettero passare quasi due settimane a microfono aperto. Era il 5 agosto, caldo bestiale, città sul desertico, atmosfera cattiva. Una settimana dopo il procuratore della Repubblica di Roma interruppe le ferie per occuparsi di quel furioso, ininterrotto turpiloquio che si diffondeva nell'etere. Nello stesso giorno alcuni funzionari della questura fecero presente all'editore di Radio Radicale (ieri come oggi Paolo Vigevano), che a parte l'oscenità c'entravano ormai reati come vilipendio, istigazione a delinquere e favoreggiamento. Il 14, vigilia di Ferragosto, sotto gli occhi di parecchi giornalisti e le telecamere di una rete tv americana, addirittura, la Digos sequestrò - in diretta - le bobine e le segreterie telefoniche. Adesso Emilio Targia, uno dei redattori, ha il compito di ascoltare, schedare e sintetizzare per argomenti i messaggi, s'è appena riavuto, sportivamente, dal solito rutto: profondo, metallico. Scorre l'elenco delle vecchie-nuove motivazioni consegnate dagli ascoltatori cui è bastato poco o nulla per cedere al richiamo della foresta: «Sesso; solidarietà per la radio (si dispiace per la chiusura); viva la/c; insulti; si dispiace per gli insulti; sesso (sado-maso); viva il duce; Cassandra da Troia...». A pochi centimentri di distanza il suo collega Andrea Billau, cui è toccato in sorte di sperimentare stoicamente la pernacchiona, aggiorna il proprio repertorio: «Nord contro Sud; per la radio; insulti a sfondo sessuale; vuol comprare un fax; pensioni; che vergogna; solidarietà per la radio; canta; leghista contro Maurizio Costanzo; bambina contro insulti al Sud; viva l'Italia...». Qualche telefonata su Tangentopoli, una sulla ex Jugoslavia, niente ancora sulla mafia... Alle 11 di oggi, comunque, in redazione, l'editore Vigevano, il direttore di Rr Massimo Bordin e Marco Pannella, che pure stavolta ha tutta l'aria di essere il vero regista di questa bis-provocazione ad alta e reiterata intensità emotiva e comunicativa, «illustreranno la condizione attuale dell'emittente e le finalità dell'iniziativa». Anche qui, per il momento, pare di capire che dopo un periodo più o meno prospero ancorché, come al solito, avventuroso, Radio Radicale se la passa male dal punto di vista economico. In sostanza i 6-7 miliardi annui garantiti dalla legge sull'editoria e l'uria tantum di 20 miliardi concessa due anni fa a un'emittente che giustamente rivendica un ruolo di servizio pubblico, non bastano più. Il caos normativo, con la mancata assegnazione delle frequenze, costringe tutta la radiofonia (e soprattutto Rr che non ha pubblicità) a sostenere costi di esercizio terribili e in pratica le impedisce di programmare risparmi. A parziale consolazione c'è solo da considerare che di regola proprio questo genere di difficoltà, lo spremersi le meningi e rodersi il fegato per superarle, ha reso la radio dei radicali un fenomeno unico, e sempre piuttosto vivo. Dal 1979 a oggi, nella sua gloriosa, ma scomoda esistenza per due volte ha conosciuto la sospensione dei programmi. L'ultima nel 1990, quando per giorni i patiti della rassegna stampa, gli aficionados dei fili diretti, ifans delle sedute della Camera, insomma il composito e grato pubblico di Radio radicale - oggi calcolato intorno ai 500 mila ascoltatori medi e giornalieri - dovette accontentarsi di cupi requiem, oltre che di un polpettone giusto un po' narcisistico in cui si sentiva la gente più disparata, primo fra tutti Andreotti, parlare bene di questa emittente rivoluzionaria e al tempo stesso istituzionale che oltretutto dispone di un archivio sonoro (politico e giudiziario) insostituibile per chiunque voglia ricostruire la storia d'Italia negli ultimi quindici anni. Rispetto alla «chiusura» del 1990, quella del 1986 con quell'orgia di oscure voci e di rumori, di scurrilità e violenza fu a suo modo una vicenda sensazionale che ancora oggi, evidentemente, riesce a calamitare istinti, umori, ferocie, riflessioni, bestemmie, preghiere. «Una bomba di conoscenza, di ascolto, di mezzo-messaggio» la definì Pannella. E con una certa enfasi: «E' storia di popolo, di gente, è coro, koinè che s'annuncia, s'esorcizza, si denuncia». Di fronte a chi, più prosaicamente, gli faceva notare che dopotutto si trattava di scherzomani e sporcaccioni, e che in ogni caso non era giusto aprire i microfoni a chiunque, il leader radicale rivendicava sempre con parole ispirate il valore di quel fiotto di umanità irosa e dolente che veniva messo in onda senza censure, ma anche senza saper bene che effetto avrebbe fatto: «Non è oscura e torbida Radio radicale: ma oscuro e torbido è il mondo che illumina, le tenebre che comincia a sconfiggere, i guasti profondi, il vulcano di male sui quali camminiamo». Il vero rischio, certo, è che Rr chiuda per sempre. Resta solo da valutare, dopo sette anni, se questa seconda eruzione del vulcano sia il mezzo giusto per scongiurare il pericolo. Se il déjà-vu non faccia più né pena, né scandalo. Filippo Ceccareili Mancano i fondi rischio di chiusura Dieci segreterie: chi rutta, chi canta chi grida: viva il duce In alto, Pannella con dirigenti della radio. A lato, lo studio

Luoghi citati: Castelfranco Veneto, Civitavecchia, Italia, Jugoslavia, Monza, Roma, Troia