Ritorna lo scrittore-filosofo-scienziato di Filippo BurzioSergio RomanoFilippo Burzio

Ritorna lo scrittore-filosofo-scienziato Ritorna lo scrittore-filosofo-scienziato Burzio, l'Europa parte dall'Italia TORINO. Mentre si ristampano le opere di Filippo Burzio (Lagrange, Piemonte, Anima e Volti del Piemonte, Utet), allo scrittore e giornalista è dedicato un convegno di due giorni presso la Scuola di Applicazione, Palazzo dell'Arsenale. Oggi alle 17,30 tavola rotonda su «Burzio e il Piemonte» presieduta da Vittorio Chiusano, con Giorgio Calcagno, Ezio Mauro, Gaetano Pellegrino, Luigi Pepe, Sergio Romano e Giovanni Tesio. Anticipiamo la parte finale dell'intervento di Romano. DIECI degli editoriali che egli scrisse [per La Stampa, da direttore] fra il giugno del 1946 e il giu Igno del 1947 sono dedicati al «Cancellierato d'Assemblea». Gli effetti della proporzionale, con cui il Paese ha votato per l'Assemblea costituente, e i risultati delle coalizioni tripartite - democristiani, socialisti, comunisti - che governavano in quei mesi la Francia e l'Italia con l'appoggio di partiti minori, lo hanno convinto che occorre creare un potere stabile e saldo al di sopra dei partiti. Alla formula della Repubblica presidenziale, preferita da Calamandrei, e da alcuni azionisti, Burzio contrappone quella del Presidente del Consiglio eletto dal Parlamento. Non potendo prevedere i guasti che la proporzionale e la partitocrazia infliggeranno al Paese negli anni seguenti, fonda la sua analisi soprattutto sugli «assalti alla diligenza» nella III Repubblica francese, in particolare fra le due guerre. E poiché gli sembra che Italia e Francia si stiano avviando verso la stessa strada sostiene la necessità di rafforzare la Repubblica parlamentare con tre strumenti: il diritto di dissoluzione della Camera da parte del capo dello Stato; la «pratica inamovibilità del capo del governo per tutta la durata della legislatura (la Camera potrà bocciare le leggi proposte dal governo, senza che ciò implichi la crisi ministeriale)»; «l'applicazione sistematica del referendum popolare, a proposito di tutte quelle leggi e questioni, in cui si verificasse divergenza fra Camera e governo». Due sono i vantaggi che risulteranno, a suo avviso, dall'elezione del primo ministro. In primo luogo il «cancellierato d'assemblea» impedirà che i contrasti fra i partiti paralizzino l'azione del governo. In secondo luogo contribuirà a «educare o rieducare, a poco a poco, una classe di autorevoli uomini di Stato, i quali non siano solo gli esponenti delle direzioni dei partiti, ma abbiano anche una visione personale indipendente, unitaria ed organica dei supremi interessi del Paese». Al di là delle contingenti necessità della gestionepolitica Burzio tiene d'occhio i problemi che maggiormente gli stanno a cuore: la formazione, la preparazione e la circolazione delle élite. Il suo demiurgo non è soltanto un uomo di Stato; è anche, forse soprattutto, un pedagogo. Non sempre gli uomini riconoscono l'incarnazione delle loro idee. Burzio segue attentamente l'evoluzione del dibattito politico in Francia, dovequesti temi sono affrontati con maggiore consapevolezza, e dedica un editoriale, il 25 giugno 1946, al grande discorso che De Gaulle pronunciò a Bayeux in quei giorni per esporre le grandi linee del suo progetto costituzionale. Ma le intenziondel generale gli appaiono sospette e preoccupanti. Comealtri liberali o democratici Burzio teme involuzioni autoritarie e si chiede insistentemente se De Gaulle debba considerarsFilippo Burzio un Washington o un Buonaparte. Accade persino che un anno dopo, nel maggio del 1947, egli investa le sue speranze su un esponente tradizionale della III Repubblica, Paul Ramadier. «Dimissionando d'autorità i ministri comunisti che rifiutavano di andarsene (pur avendo votato la sfiducia al ministero di cui facevano parte), ed esigevano le dimissioni generali del Gabinetto (che pure aveva ottenuto una grande maggioranza alla Camera), Auriol e Ramadier [rispettivamente, presidente della Repubblica e primo ministro] hanno fatto compiere un grande passo in avanti verso l'instaurazione del Cancellierato di Assemblea, cioè verso una più sana, organica e costruttiva concezione del potere esecutivo, e della sua necessaria autonomia dagli esiziali capricci di partito (...)». Non capì che l'energico gesto di Auriol apparteneva alla storia della guerra fredda e non avrebbe modificato la prassi costituzionale della IV Repubblica. Perché quella prassi venisse modificata la Francia dovette attendere il ritorno di De Gaulle al potere nel 1958, mentre l'Italia, dal canto suo, non ha ancora smesso di aspettare. In somma quando Burzio finalmente s'imbattè nel demiurgo di cui aveva descritto per tutta la sua vita tratti e virtù, non lo riconobbe. Credo che la ragione di questa svista vada ricercata nel rapporto difficile, fatto al tempo stesso di ammirazione e diffidenza, che il Piemonte ha sempre avuto con la Francia. Quando giudicano gli avvenimenti francesi i piemontesi sono talora miopi, talora presbiti, raramente distaccati e obiettivi. Il secondo tema di grande attualità che Burzio trattò nei suoi editoriali fu quello dell'unità europea. Con Einaudi e Sforza fu tra i primi a capire che l'Italia avrebbe superato il trauma della sconfitta e recuperato il prestigio perduto soltanto se avesse dedicato se stessa a una grande impresa europea. La creazione degli Stati Uniti d'Europa permette a Burzio di conciliare i tre grandi patriottismi della sua vita: piemontese, italiano, europeo. Ecco ciò che scrive il 30 luglio 1946: «Ricordiamo che nessuna situazione è mai disperata fin che c'è forza nelle braccia, sangue nelle vene e fosforo nel cervello; ricordiamo che, fatte le debite proporzioni, il Piemonte a Novara era stremato quanto l'Italia d'oggi: eppure, tre anni dopo, Cavour era già al lavoro, a curare le piaghe interne, a porre i capisaldi esteri, ad ardire e ad osare. La Francia abdica o sdegna la sua missione europea. Ebbene, perché - sia pure in condizioni terribilmente più gravi (...) non potrebbe raccoglierla e tentarla l'Italia? Perché l'Italia non potrebbe tentare di essere il Piemonte d'Europa?». Altre circostanze, altri problemi. Ma siamo davvero certi che Io spirito con cui Burzio scrisse quelle parole non si adatti all'Italia e all'Europa d'oggi? Sergio Romano Filippo Burzio