Tutti gli svarioni sulla Lega
il caso. In un libro errori, equivoci e superficialità dei critici all'arrivo dei «barbari» il caso. In un libro errori, equivoci e superficialità dei critici all'arrivo dei «barbari» Tutti gli svarioni sulla Lega Nessuno capì: «Folklore passeggero» ■ ri ROMA Il IENtE. Nessuno, W tranne qualche lo■ devolc, sporadica è. U eccezione, aveva capito niente. Nessuno aveva intuito quale poderoso movimento tellurico si celasse sotto le prime vibrazioni trasmesse al sistema politico italiano dalla Lega Lombarda di «Bossi Umberto, nato a Cassano Magnago (Varese)», come con didattica puntualità Giampaolo Pansa presentava ai lettori dell'Espresso, il 28 giugno del 1987, il capo dei «barbari». Arrivavano gli «alieni», gli extraterrestri. I «barbari», appunto. Che i media hanno dapprima ignorato, poi caricaturizzato, poi anatemizzato. Come è testimoniato da un libro che uscirà per Rizzoli la prossima settimana firmato con uno pseudonimo manzoniano, Ambrogio Fusella: titolo Arrivano i barbari, prefazione di Giorgio Gali Un florilegio di incomprensioni, equivoci, superficialità. E insieme il documento dell'insana voglia che ha indotto giornalisti e intellettuali a ridurre un fenomeno perturbante e incomprensibile alle dimensioni di un'escrescenza folcloristica, nel migliore dei casi, o a quelle di un'irruzione dal vago sentore diabolico, nel migliore. Fusella prende le mosse dal 1985, quando quelli della Lega erano dei perfetti sconosciuti e si radunavano attorno a giornali come la Voce delpopol lombard. Roba stravagante, veniva considerata. E certo non c'è nessun fine analista politico o interprete dei movimenti della società italiana che possa dire di uscire con onore dalle pagine di quest'antologia. «E' difficile dire che queste liste spostino percentuali consistenti mentre potranno avere localmente funzioni di erosione e di disturbo rispetto ai partiti tra- dizionali», parola di Antonio Padellaro, anno 1985. Per la quasi totalità della stampa italiana i leghisti non sono altro che un manipolo di inqualificabili razzisti, versione padana del Ku Klux Klan, xenofobi dediti alla caccia di extracomunitari, potenzialmente, come scriveva Luigi Manconi ancora nel 1990, «organizzazione finalizzata al linciaggio dei neri». Gente da trattare con rudezza. E anche con arroganza, come Francesco Damato sul Giorno nel 1989: «Mi appello» agli elettori leghisti in buona fede «perché il senatore Bossi sia destinato, come è giusto che avvenga, a predicare al vento, o ad abbaiare alla Luna, come fanno notoriamente i cani». Ancora dalla galleria di misunderstanding. Alberto Zorzoli, vicesindaco repubblicano di Milano, anno 1987: «Al Senato ce l'ha fatta persino il segretario di una Lega lombarda che sembra uscita dall'Italia di Carducci». I giornali equiparano l'ingresso di Bossi al Senato a quello di Ilona Staller: una bizzarria, un segno dei tempi impazziti e niente più. Sul Giornale Indro Montanelli paragona la Lega alla fugace apparizione dell'Uomo Qualunque che «mise in luce e fece da sfogatoio di un disagio. Sarà così anche stavolta». Non è andata così, sebbene anche Gianfranco Piazzesi sul Corriere della Sera parlasse con tranquillità della «meteora delle leghe». Sul manifesto una giornalista come Manuela Cartosio invano suonava l'allarme sull'adesione alla Lega anche di strati della sinistra, «compagni di lavoro della Breda che votano Lega» o «la moglie operaia tesserata alla Fiom che già alle europee ha tradito il pei per il Carroccio». Il liberale Sterpa definisce il movimento di Bossi una passeggera «scemenza». Eugenio Scalfari sulla Repubblica sostiene che «sarebbe insensato sottovalutare» la Lega, «anche se il rischio d'una sopravvalutazione sarebbe altrettanto sbagliato». Ma con la Lega sembrava lecito ogni genere di insulto, come dimostra la testimonianza, riportata dal libro, di Giuliano Zincone: «I conduttori delle trasmissioni, perennemente ossequiosi, professionali e inamidati nei confronti di qualsiasi assessore, si scatenano contro gli sciamannati lombardi che, per ora, non hanno potere». Italo Moretti (Tg3) difensore fino a ieri di ogni minoranza latinoamericana, bolla come «arroganti» le normali dichiarazioni del leghista Speroni e aggiunge che, se potesse farlo, saprebbe come metterlo a posto. Poi c'è la notazione di stile del semiologo Omar Calabrese: «Bossi e compagni si presentano un po' fuori moda». Le sferzate di Gianni Baget Bozzo: «La Lega esprime problemi reali ma lo fa a prezzo di una subcultura che è al limite dell'articolazione in parole». Concetti che godranno di una larga fortuna fino ai nostri giorni. Camilla Cederna: «Non voterei mai Bossi, prima di tutto per la sua volgarità». La scrittrice Gina Lagorio: «La sua assenza di stile è tale che non voglio neppure sentire le sue ragioni. Uno scrittore non può prescindere dalla forma». Intanto i «barbari» avanzano. E come se avanza- Pierluigi Battista Nessuno capì: «Folroso lasse traaliaestiscirà imanimo sella: refansioE insana alisti fenoprenun'e miun'irboliende quelli scoII leader della Lega Umberto Bossi. Sotto, Indro Montanelli. Più in basso Omar Calabrese e a destra del disegno Baget Bozzo sul Giorno nel 1989: «Mi appello» agli elettori leghisti in buona fe II leader della Lega Umberto Bossi. Sotto, Indro Montanelli. Più in basso Omar Calabrese e a destra del disegno Baget Bozzo
Luoghi citati: Cassano Magnago, Italia, Milano, Roma, Varese
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