Via Fani il giallo delle borse

Via Fani, il giallo delle borse Via Fani, il giallo delle borse Un pentito: non le prese Moretti LROMA E Brigate rosse non si impadronirono subito delle borse in cui Aldo Moro conservava i suoi documenti politici riservati. Le valigette furono consegnate ai terroristi solo in un secondo tempo, quando l'auto del presidente democristiano era già nella rimessa della questura di Roma. Dopo le dichiarazioni di Adriana Faranda sul quarto uomo nel covo di via Moltalcini, il caso Moro ha offerto ieri una nuova rivelazione che, a quindici anni dai fatti, lascia trasparire ipotesi inquietanti. «Non fu il commando che rapì Moro e ne trucidò la scorta a portar via le borse - scrive il settimanale Oggi -. Il terrorista dissociato Valerio Morucci confessò, anche in tribunale, di averle prese lui. Ma non è vero». La rivista della Rizzoli pubblica alcune fotografie scattate in via Fani subito dopo la strage, in cui le borse compaio- no ancora nella macchina di Moro. La circostanza, secondo il settimanale, sarebbe confermata dalle dichiarazioni di un testimone e soprattutto da un rapporto della polizia scientifica stilato quella stessa mattina alle dieci: appena un'ora dopo il massacro. Eppure la moglie dello statista, accorsa in via Fani quindici minuti dopo l'assalto, notò che le borse «importanti» di suo marito erano sparite. Anche qui ci sono le prove: Eleonora Moro, infatti, fece un'immediata denuncia alla polizia. Ecco la successione dei fatti nella ricostruzione di Oggi: le borse restano nell'auto subito dopo l'agguato. Scompaiono quando la signora Moro compie «un sopralluogo personale». Riappaiono quando la scientifica inizia i suoi rilevamenti. Si perdono ancora, e questa volta per sempre, quando la macchina viene trasferita nel garage della Questura di Roma. Da qui, qualcuno le fece avere ai terroristi. 1 pentiti Bonisoli e Savasta, infatti, dichiararono di aver potuto consultare i documenti riservati di Moro. Prosegue intanto la polemica sul «quarto uomo». Ieri le parole di Adriana Faranda sono state smentite da una lunga intervista che il pentito Adriano Savasta, ex capo della colonna romana delle Br, ha rilasciato all'agenzia Ansa. «Non ho mai conosciuto Germano Maccari come appartenente alle Brigate Rosse, né tanto meno come il quarto uomo della prigione di Moro - ha detto Savasta -. Qualche giorno prima che Germano fosse arrestato, sono stato convocato dalla Digos che mi ha chiesto se conoscessi Maccari e se facesse parte delle Br. Ho assolutamente escluso che potesse far parte della nostra organizzazione. Ho detto di averlo conosciuto a Centocelle, dove ambedue militavamo in Potere operaio e dove all'epoca ci conoscevamo tutti. Nel '78 divenni il capo della colonna romana: se lui fosse stato nelle Br lo avrei sicuramente incontrato». Savasta smentisce anche di aver indicato in Adelaide Uccelli, convivente di Maccari, la fidanzata dell'«ingegner Altobelli», il nome fittizio con cui le Br hanno sempre indicato il quarto uomo nel covo di via Montalcini: «Alla Digos che mi chiedeva se sapessi chi era all'epoca la fidanzata di Germano, ho risposto che nel '75 era una certa Adelaide. Non ho detto che la donna era nelle Br, figuriamoci che era la fidanzata di Altobelli». Le dichiarazioni della Faranda sono invece vagliate con molta attenzione dai magistrati, che ora vogliono interrogare gli «irriducibili». Mario Moretti, dal carcere di Opera, ha già opposto un net.3 rifiuto: «Non intendo sottopormi ad alcun interrogatorio», ha mandato a dire ai sostituti Franco Ionta e Antonio Marini, rifiutando l'incontro. Gli altri ex terroristi che i giudici della capitale vorrebbero ascoltare sono Prospero Gallinari, Anna Laura Braghetti, Bruno Seghetti e Barbara Balzerani. Di fronte al rifiuto di Moretti, Ionta e Marini hanno mandato la Digos alla redazione del Manifesto. Obiettivo della missione il sequestro dei nastri con la registrazione dei colloqui che l'ex capo delle Br ha avuto, nel luglio scorso, con Rossana Rossanda e con la giornalista del Grl, Carla Mosca, [r. i.) I br pentito Antonio Savasta

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