Fa sciopero anche la disperazione

Fa sciopero anche la disperazione Fa sciopero anche la disperazione Da Napoli la rabbia degli orfani dell'assistenza NAPOLI IRE che il Sud è ferito e piegato sulle ginocchia sembrerà, visto da Nord, una banalità. E questo perché il Sud, per definizione, si è sempre sentito ferito e incline all'urlo. Così, in genere, non sarebbe una grande notizia il fatto che oggi Napoli e il Sud sciopereranno e faranno manifestazioni. Ma tutto sta cambiando alla svelta, e in una direzione che non sembra affatto quella che potrebbero auspicare dei colti intellettuali, economisti e sociologi, a tavolino. Tutto cambia alla svelta nella direzione del peggio. Il Sud è al tracollo perché tracolla con l'assistenzialismo anche la cultura dell'economia assistita, senza che alcuna altra cultura sia frattanto affiorata. A Crotone gli operai dell'Enichem e quelli della Pertusola (fabbrica di zinco che costa come l'oro, perché sul mercato arriva il metallo prodotto nell'Est europeo) sono terrorizzati perché intravedono non soltanto lo spettro della disoccupazione - amarezza e tragedia della civiltà industriale - ma lo spettro della deportazione e della memoria cancellata. Il Nord alza il sopracciglio severo: che imparino, questi cafoni, com'è dura la vita, com'è severa la civiltà della produzione e delle leggi rispettate. Il Nord, ammesso che sia sensato ricorrere a queste categorie es.. °*te dalla bussola, ha ragione, ma ha torto: se la Lombardia spagnola raccontata da Manzoni (città di mafiosità malavitosa dominata dall'arroganza dei rampanti, nell'assoluta incertezza del diritto) non fosse diventata una provincia di Vienna e di Maria Teresa, oggi non disporrebbe dell'invidiabile riserva di orgoglio da cui attinge con aggressiva generosità. Potrebbe sembrare eccentrico un discorso del genere: ma qui a Napoli i moti della Cattedrale nella notte fra venerdì e sabato scorsi, hanno lasciato la vecchia capitale del più antico regno piegata sui suoi talloni d'argilla. Proviamo a immaginare una scena analoga in una città del Centro o del Nord: torme di disoccupati invadono il duomo per tenere quasi sotto sequestro (psicologico) il cardinale. Il cardinale che chiede ai fedeli in rivolta (fedeli per modo di dire) di sgomberare la chiesa, per poter trattare senza apparire alla mercé. E poi un viavai di prefetti, questori, picchettatoli, gente vociante, la notte, le luci incerte, quelli che dormono sui banchi della chiesa e gli altri che s'infiacchiscono all'addiaccio. Poi l'arrivo della polizia, cioè della forza, che sgombera, arresta, denuncia, traduce in galera. E il cardinale che intercede, si indigna. Non è forse, questa Napoli, um remake della Milano manzoniana? Il Sud ha ancora ciò che il Nord non ha più da tempo: le plebi, per quanto la parola contenga un grumo di pena. Il prestatore d'opera del Sud, se vive e finché vive nel Sud (perché quando si trapianta altrove si annulla) è condannato a convivere con un marchio di inferiorità: il lavoro da queste parti si chiama «la fatica» e vado a lavorare si dice «vado a fatica». E la fatica, essendo stata disintegrata la società dell'antico regno borbonico senza che mai arrivasse dal Piemonte e dalla Lombardia l'influsso pratico e organizzativo dell'illuminismo riformatore, è vissuta come una sofferenza astiosa, subalterna. Lo sciopero di quattro ore riguarda temi eterni e di nessun impatto: l'occupazione che va a catafascio e la vergogna fiscale. In Sicilia, mi ha detto un sindacalista palermitano impiegato di una impresa privata che riscuote le tasse per conto dello Stato, la macchina fiscale funzionava meglio durante il dominio dei famigerati e famosi cugini Salvo. Se il Nord protesta contro la pressione fiscale che soffoca la piccola e media impresa, al Sud - in cui pure gli imprenditori e i commercianti si dichiarano strangolati - si prende cognizione del fatto che la condizione prevalente e ambita del prestatore d'opera subalterno equivale a quella del tartassato fiscale senza difesa. Inoltre al Sud si protesta perché le passate scelte di natura industriale, incerte o fallimentari, anche indipendentemente dai guai della congiuntura mondiale, hanno ammazzato nella culla la possibile vocazione turistica. Il turismo è stato assassinato dagli stessi «operatori» sudisti che ne hanno imboccato la strada senza garbo né immaginazione, sottoponendo il territorio a sfruttamento indecente e ignorante, distruggendo coste e montagne, mari e isole, in nome degli albergoni edificati come nella periferia di Varsavia a spese dell'ente pubblico pagante. Il Sud è incerto e annichilito, seguita a urlare senza riuscire a cercare strade autonome, senza saper progettare e realizzare, seguitando a sentirsi subalterno e fregato. La questione meridionale oggi dovrebbe consistere in una rivoluzione economica e culturale insieme, operazione che appare assolutamente impossibile. Si sciopera nell'apatia e nella disperazione. Paolo Suzzanti Un momento della manifestazione dei disoccupati napoletani che hanno invaso il Duomo di San Gennaro

Persone citate: Manzoni, Maria Teresa, Paolo Suzzanti