Torino e Milano la grande paura di Alberto Papuzzi

Torino e Milano, la grande paura Torino e Milano, la grande paura «Sono troppe le fabbriche in pericolo» UTORINO NA livida nuvola, bello o brutto che sia il tempo, coprirà i cortei e le manifestazioni organizzati per lo sciopero generale nelle aree forti del nostro Paese: è la grande paura della disoccupazione industriale. Anche il Nord produttivo fa i conti con un malessere che nel Sud derelitto è fisiologico: in migliaia di famiglie, non di Napoli o di Crotone ma di Torino o di Milano, la crisi economica ha oscurato il futuro. Dove fino a ieri c'era una relativa agiatezza serpeggiano oggi i sussulti di un'angoscia che nei casi peggiori diventa disperazione. «In tutto il Piemonte ma specialmente a Torino la paura di perdere il posto è entrata nella pelle della gente, non è più una faccenda di sindacalisti ed economisti - dice Tom D'Alessandri, segretario generale Cisl -. C'è di nuovo una generazione di giovani che si trova tutte le porte chiuse. E quasi non c'è più una fabbrica sicura». Fiat, Olivetti, Gft, Comau, auto, informatica, aeronautica, tessile, macchine utensili, grande industria e piccole imprese: dappertutto ci sono posti a rischio. Macché minimum tax, qui si sciopera per l'occupazione: otto ore in tutta la regione, perché nella prima città operaia il sindacato rimane un simbolo di protesta relativamente solido. Milano è diversa. Non è una città operaia e le aziende del settore terziario riescono ancora ad assorbire i cedimenti dell'industria. La preoccupazione di restare a casa dal lavoro non è ancora diventata paura individuale. Radio Popolare ieri ha messo in onda un lunghissimo «telefono aperto» sulla crisi e sullo sciopero: «Non è venuto a galla nelle telefonate il panico per il posto in pericolo - dice Piero Bosio, uno dei redattori della trasmissione -. Più che altro si sentivano voci incavolate con il sindacato: a cosa serve 'sto sciopero? Cos'è 'sta minimum tax? E' come se la gente, qui a Milano, fosse perplessa: sta alla finestra, non ha ancora capito come andrà a finire con la crisi». A Torino la crisi è a cielo aperto. Si è mobilitato il sindaco Valentino Castellani, che si è fatto vedere accanto agli operai che rischiano il posto, irritando i dirigenti dell'Unione Industriali. La gravità della crisi ha innescato di nuovo meccanismi di solidarietà: l'idea è che la disoccupazione diventi un problema dell'intera città. Ma la crisi scava anche divisioni: Rifondazione comunista ha invitato i suoi a una partecipazione massiccia allo sciopero ma «contro il sindacato». A Milano la crisi è un mondo sommerso. Una zona come Sesto S. Giovanni, cuore della siderurgia, è diventata un deserto, dopo la chiusura dell'Ansaldo, dopo i tagli alla Falck. Ma la grande metropoli riesce ancora a macinare le sue contraddizioni. Alla Breda di Sesto si è passati da tremila a trecento posti: dove sono finiti quei duemilasettecento espulsi? Non si sa bene: dispersi in mille storie, svaniti nelle neb¬ bie dell'hinterland, fra cassa integrazione e doppi lavori. Da Torino e Milano a Porto Marghera è un salto nel vuoto. I lavoratori del polo industriale veneziano li chiamavano «i quarantamila». Adesso sono quindicimila, la prospettiva è di averne cinquemila. Ma qualcuno giura: «Qui fra tre anni si smobilita tutto». La gran parte di questi stabilimenti sono gioielli tecnologici, ma non c'è mercato. Nei cantieri Breda si costruisce al rallentatore l'ultima nave. E dopo? Il Petrolchimico è sull'orlo della chiusura, l'Agrimont ha quasi chiuso. «In realtà si paga l'assenza totale di piani industriali da parte governativa - accusa Martino Dorigo, deputato di Rifondazione comunista -. Queste fabbriche appartengono in maggioranza al polo pubblico: è la mancanza di investimenti, è il disinteresse del governo che qui rendono disperata la crisi». Così la pensa anche la gente di Porto Marghera. Siamo stufi e incazzati, siamo come a Crotone, ripetono le tute blu davanti a registratori e telecamere. Abbiamo accettato tagli pesanti, abbiamo garantito il recupero di produttività, ma cosa abbiamo avuto in cambio? «Un tasso di disoccupazione del quindici per cento - risponde Dorigo -. Non c'è da meravigliarsi se la gente sceglie forme di lotta molto dure». Hanno chiuso la «valvola d'oro», che neppure nell'autunno caldo era stata toccata, bloccando la pipeline che alimenta gli oleodotti di Ferrara e Ravenna. Hanno bloccato ripetutamente il traffico fra Mestre e Venezia. E domani distribuiranno i fertilizzanti che l'Agrimont non mette più sul mercato. Altro che modello di sviluppo veneto: qui comincia il Sud del Nord. Alberto Papuzzi Torino, una manifestazione di protesta operaia

Persone citate: Dorigo, Martino Dorigo, Olivetti, Piero Bosio, Sesto S. Giovanni, Tom D'alessandri, Valentino Castellani