I come italiani U come umiliati di Franco Pantarelli

Il libro di Biagi a New York Il libro di Biagi a New York I come italiani U come umiliati VNEW YORK ENUTO nella Grande Mela per presentare il suo nuovo libro I come I Italiani (Rizzoli), Enzo Biagi, ospite dell'Istituto italiano di cultura, ha quasi subito «dimenticato» la ragione ufficiale della serata. Spalleggiato da Furio Colombo e Ugo Stille in veste di intervistatori, Biagi ha virtualmente «scritto» per i presenti alcuni di quegli articoli pieni di disincanto che lascia trasparire la passione, di ironia che lascia trasparire la rabbia, di cortesia che lascia trasparire il disprezzo, per i quali è giustamente considerato un grande. Come andrà a finire la vicenda italiana?, lo provoca Stille. «Il problema è come comincia risponde lui -. Si sente dire che dobbiamo ripartire da zero, ma nessuno sa dove sia, lo zero. La cultura dominante è diventata quella del sospetto. Gli scandali hanno cominciato a travolgere i politici, ma poi si è visto che erano coinvolti anche gli imprenditori, i magistrati, i militari. Che ci fossero le bustarelle lo sapevamo tutti, che l'Italia non fosse l'unico Paese corrotto le sapevamo tutti, ma da noi si è andati molto oltre. Un intero Paese è stato umiliato. Gli è stata tolta la cosa più preziosa: la speranza. Per anni l'alternativa degli italiani ò stata fra alcuni probabili ladri e presumibili (in prospettiva) assassini. Teniamoceli perché sono l'unico modo di salvarci dal comunismo. Ora non funziona più». Le domande piovono, gli argomenti si accavallano e per tutti Biagi ha le sue osservazioni. I pentiti sono attendibili? «Secondo me Tommaso Buscetta è attendibilissimo. Ci ho parlato per due giorni e due notti, in un luogo segreto a tre ore da New York. C'erano gli agenti dell'Fbi che vigilavano e sembravano proprio quelli dei film. Forse Buscetta non mi ha detto tutto ciò che sapeva, ma quello che mi ha detto è risultato tutto vero. Che Totò Riina era a Pa¬ lermo tranquillo e indisturbato io l'ho scritto nove anni fa. A un certo punto Buscetta mi disse che quando ci fossimo incontrati nell'aldilà mi avrebbe fatto dei nomi e io avrei continuato a non crederci. Devo dire che non lo considero un appuntamento urgente. La mia curiosità è moderata. Ma certo Andreotti che bacia Riina è impressionante. Di Pietro? «Ha fatto l'operaio, poi il poliziotto, intanto studiava ed è diventato magistrato. Forse la mentalità del poliziotto un po' gli è rimasta addosso. Ma non è Javert, non è un inquisitore. Però detesta essere preso in giro da quelli che interroga. Sì, se si presentasse a una qualsiasi elezione prenderebbe una valanga di voti. Ma perché vi facciate un'idea della situazione aggiungo che anche Umberto Bossi e Vittorio Sgarbi prenderebbero un sacco di voti». La secessione? «Mah, una volta erano i siciliani a volersi separare. Adesso sono i settentrionali. Io non ci credo. Non cambierei il maestro Leonardo Sciascia con il maestro di Vigevano. L'Italia è un Paese complicato. Pensate che una certa parte del corpo a Nord si chiama uccello e a Sud si chiama pesce». La Lega? «E' il termometro, non la cura. Bossi parla come Guglielmo Giannini, che riuscì a portare in Parlamento 25 deputati, e poi furono tutti comprati da Achille Lauro. Comunque, in favore della Lega hanno lavorato tutti i partiti». Il pds? «Il suo tentativo di cancellare il passato merita rispetto. Purtroppo mi sembra un po' confuso sul futuro. I soldi di Mosca non mi scandalizzano. Lo sapevamo tutti, come sapevamo che gli altri li prendevano dall'America». Finirà tutto a tarallucci e vino come al solito? «Bisogna vedere se ci saranno i tarallucci e se ci sarà il vino». Franco Pantarelli

Luoghi citati: Italia, Mosca, New York, Vigevano