L' Italia dei senza rimorso

Ne discutono Colletti, Baget Bozzo, Ciuffoletti e Flores d'Arcais Ultima farsa o necessità morale? Consolo nel prossimo libro accusa: tutti si flagellano, nessuno ci crede L Italia dei senza rimorso P1ENTIRSI, che passione! Stare a testa in giù, strapparsi le vesti, chiedere venia: l'esercito degli au 1 toflagellanti si allarga a macchia d'olio. Sono in tanti, in questi ultimi tempi, a togliere il tappo alla retorica del perdono. Sceglie di offrirsi alla pubblica vendetta e si stende a tappetino di fronte all'intera nazione Achille Occhetto per le tangenti incassate dai miglioristi («piglioristi») milanesi: «Chiedo scusa al popolo italiano per quella colpa di commistione delittuosa tra politica e affari», pronuncia solenne dal podio il segretario della Quercia. Si batte il petto contrito davanti agli amici di Comunione e Liberazione l'ideologo Rocco Buttiglione, che al Meeting di quest'anno ammette di aver provato nei loro confronti un sentimento non proprio cristiano di «odio», di averli pensati addirittura come «iene». Promette di vivere come un francescano e di restituire qualche miliardo l'ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, e anche lui chiede «scusa agli italiani». Per risarcire quegli stessi italiani dai danni causati anche dal suo partito il de Francesco D'Onofrio propone di donare allo Stato le proprietà dello scudo crociato, a cominciare dalla faraonica sede dell'Eur. Il Satana della Sanità «Non voglio essere identificato come il Satana della Sanità»: Duilio Poggiolini, ex direttore generale del servizio farmaceutico nazionale, che ha accumulato un «tesoro» di centinaia di miliardi, prova a sottrarsi ai fumi dell'inferno e ai magistrati che lo interrogano sulle tangenti ripete: «Ho cambiato vita, ho girato pagina». Fra Cristoforo fa scuola e le conversioni fioccano: il democristiano napoletano Alfredo Vito viene convinto dal gesuita Clemente Russo, rettore dell'Istituto Pontano, e fa ampia confessione sulla Tangentopoli partenopea, si dimette da Montecitorio e promette di ridursi drasticamente il tenore di vita. La grandine delle autoaccuse colpisce alla cieca: ci si umilia e ci si offende per i motivi più diversi. Giulio Andreotti si genuflette niente di meno che all'autorità di Pier Paolo Pasolini. A diciotto anni da quando si svolse l'aspro dibattito tra il senatore a vita e lo scrittore, che parlava di consumismo come malattia della democrazia, Andreotti, nel febbraio di quest'anno, pronuncia parole contrite per aver polemizzato con l'autore degli Scritti corsari: «Ho sbagliato ammette avvilito -, lui ricordava a me che l'uomo non vive di solo pane. Io ero prosaicamente radicato alla convinzione che senza pane non si vive sicuramente». Marina Ripa di Meana, animalista dell'ultima ora e rea confessa, scende in piazza a dar fuoco alle sue pellicce. E Claudio Martelli appare in tv nel memorabile ruolo di figliol prodigo e invia alla genitrice un accorato «scusami mamma» per averla troppo trascurata. «Sono un babbeo - riconosce il generale ex innamorato Franco Monticone, al centro del sexy-golpe di questi giorni -, ci vuole coraggio anche per passare per babbei, per ammettere di avere sbagliato e pagarne le conseguenze». In questi anni sono arrivati a carrettate i pentiti del terrorismo e della mafia, incentivati da una legislazione premiale che non permette di distinguere il «cristiano pentimento» dall'interesse privato. Ma proprio oggi, a quindici anni dall'uccisione di Aldo Moro, manifesta un vero pentimento Adriana Faranda e tra le lacrime dichiara: «Ho seguito la mia coscienza e adesso provo come un sentimento di liberazione. Non potevo più stare zitta..., ma rifiuto di essere catalogata come una pentita. E' una definizione giuridica che presume dei vantaggi. Mentre io sono quasi a fine pena e da quanto è accaduto non ho nulla da guadagnare». Ma è autentico rimorso quello che dilaga oggi? Se il vizio nazionale è sempre stato di essere doppi, simulatori, voltagabbana, è venuto il momento con fiumi di lacrime e di sincerità di girare pagina? L'esercito dei pentiti che trasuda crisi di coscienza da tutti i pori porta una nuova tendenza? «Stiamo vivendo in un periodo in cui tutti sembrano darsi da fare per ottenere il massimo della trasparenza: esibire i propri errori, pronunciare il mea culpa è diventato un costume fin troppo diffuso», osserva lo scrittore Vincenzo Consolo. Il narratore siciliano, dopo il suo breve tuffo nella vita politica, alla direzione del Teatro Stabile di Palermo da cui si è dimesso nel giro di pochi giorni con una clamorosa rinuncia, ha appena terminato Fuga dall'Etna. La Sicilia e Milano, il romanzo e la storia (Donzelli Editore). Nel libro evoca tra l'altro i temi del rimorso e del pentimento. «Il senso della colpa nella nostra società in realtà non esiste affatto. Se andiamo a rileggere l'Odissea, scopriamo che il primo grande pentito della storia è Ulisse e che il suo viaggio di ritorno verso Itaca è un percorso di espiazione. Nelle sue peregrinazioni tra incantesimi e malie affronta i mostri del rimorso che lo assilla per aver inventato la macchina più sleale, il cavallo di Troia. I tormenti di Ulisse erano prodotti dell'inconscio, i nostri "mostri" sono invece tangibili. Ma si è perso il senso della tragedia che si basava sul rapporto tra colpa ed espiazione: le Erinni che perseguita¬ vano Oreste non spaventano più nessuno. Per esempio, terroristi e mafiosi li chiamano pentiti, ma a mio parere bisognerebbe cambiare la definizione in "collaboratori"». Collaboratori o pentiti che dir si voglia, le conversioni sulla via di Damasco che si moltiplicano in questi anni riusciranno comunque a spianare la strada a una nuova trasparenza, nella politica e nella società? «Non credo, un po' di pentimento non può far dimenticare che prevale ancora nel nostro Paese la strategia di rimozione - sostiene il direttore di Micromega e politologo Paolo Flores d'Arcais -. Non ci sono solo corrotti e corruttori, terroristi e ladri. Il rimorso dovrebbe mordere anche tutti quelli che hanno aiutato a coprire la verità con peccati di omissione, depistaggi, insabbiamenti. E invece niente. Faccio solo un esempio: quanta parte della stampa italiana ha sollevato i veli sui misteri e i porti delle nebbie del nostro Paese? Quanta parte ha almeno sostenuto lo sforzo di alcune valorose ma piccole testate che facevano vere indagini o scoprivano qualche spezzone di Tangentopoli ante litteram? Così è stata la Voce della Campania a indirizzare i riflettori su De Lorenzo, Pomicino, Gava, De Donato. E si beccava le querele assieme a accuse di avventurismo e estremismo. A Milano Società civile veniva sbeffeggiata. E 11 pungolo e I siciliani subivano la stessa sorte. Ma i loro meriti sono riconosciuti adesso? Non mi pare, o comunque non a sufficienza». «Giù il cappello», aveva intitolato Indro Montanelli un suo fondo dedicato a Renato Amorese, segretario del psi a Lodi, uno dei primi suicidi di Tangentopoli, e scriveva: «Quest'uomo ha sentito la vergogna di apparire sui giornali come un disonesto». Con espressioni di profondo dolore Amorese annotava nell'ultima lettera: «Ho sbagliato, sono mortificato per i miei errori. Vi chiedo perdono per quello che ho fatto». Un esempio isolato? «Mi pare proprio di sì - osserva Zeffiro Ciuffoletti, autore del recente libro Retorica del com¬ plotto -. Mi è capitato di riprendere in mano Corinna o l'Italia di Madame de Staél che diceva "Gli italiani hanno perso il coraggio di guardare in faccia la realtà". «Una citazione più che mai appropriata. La de Staél era convinta che la mancanza di una rivoluzione protestante e le numerose dominazioni straniere ci avessero privato della spina dorsale e abituato al sotterfugio e alla doppiezza. E' vero. Ancora oggi non c'è una robusta società civile che si oppone allo Stato corrotto. Salvar comunque se stessi è l'imperativo più sentito. Mentre abbonda il moralismo, ognuno dà la colpa agli altri». Estate di lacrime Piange Achille Occhetto nel '92, piange La Malfa nella primavera del '93, sono bagnate le guance piene di Craxi in questa calda estate. Sono sfoghi emotivi o segnali di una nuova morale che si afferma sulla base di una profonda autocritica? «Bisogna distinguere caso per caso, è ovvio - osserva Lucio Colletti -, per esempio ho visto un esame di coscienza sincero e profondo da parte del terrorista Franceschini in un faccia a faccia con Biagi. Ma, in generale, credo poco alle conversioni profonde nella società odierna. L'individuo ha perso il senso dell'intimità con la propria coscienza, dell'autoanalisi. Non è solo una responsabilità individuale, ma anche della società in cui viviamo. Grandi pensatori come Tocqueville e Burckhardt hanno visto chiaro sui limiti della moderna società di massa. A cominciare dall'effetto nefasto della tv, molte sono le spinte all'ottundimento, all'imbarbarimento e alla perdita del rapporto con se stessi». Ma forse il rimorso ha soprattutto bisogno di una levatrice, si chiami essa Di Pietro o Direzione antimafia. Ha bisogno, cioè, che per il peccatore le cose comincino ad andar male. Secondo l'onorevole Gianni Baget Bozzo «esiste nel profondo il senso del rimorso. Ma spesso viene a galla nella coscienza quando arriva la mala sorte. E noi la viviamo come un castigo, giusto. In fondo c'è che la nostra immagine di Dio è prevalentemente quella del Dio della giustizia piuttosto che di quello dell'amore». Mirella Serri Ne discutono Colletti, Baget Bozzo, Ciuffoletti e Flores d'Arcais Le frasi celebri Martelli: «Scusami mamma». Poggiolini: «Ho girato pagina». Il gen. Monticone: «Sono un babbeo» Da sinistra: Claudio Martelli, Vincenzo Consolo, Duilio Poggiolini, Lucio Colletti, il gen. Monticone e Paolo Flores d'Arcais. L'illustrazione è tratta da «Graphis Annual»

Luoghi citati: Campania, Italia, Lodi, Meana, Milano, Palermo, Sicilia