Vignette «animalesche» di Maurizio Assalto

Vignette «animalesche» Vignette «animalesche» La tradizione è molto più antica Parola di Forattini e Pericoli r\ ITA' a vedere che adesso L ' mi faranno passare per W nazista...»: anche Giorgio il Forattini, il principe dei bJi I disegnatori satirici italiani, ha disegnato qualche volta le sue vittime in forma di animali. A parte la luminosa ma breve stagione della saga disneyana (Amato-Topolino, Occhetto-Paperino, Forlani-Pluto, Craxi-Gambadilegno), a parte il classico Andreàcula («Ma non saprei dire se il pipistrello sia davvero un'invenzione mia, era un motivo ricorrente»), si ricordano un Gaspari-ippopotamo d'annata (ai tempi della «tracimazione» in Valtellina) e storia recente - un Mancino-cinghiale con tanto di zanne («Gli somiglia veramente, ha la stessa faccia»), un Bossi-Pluto, un Occhietto-canarino Titti che svolazza garrulo fuori da una «gabbiet¬ ta», e si ritrova in un gabbione. Sarà pure stata una mania di Goebbels, quella delle caricature teriomorfe, ma di sicuro ha una lunga e vasta tradizione. In pieno anticlericalismo socialista, sulla copertina di un Avanti della Domenica del 1901 campeggia una spaventosa piovra sormontata dalla tiara, che soffoca la Terra con i suoi tentacoli. E prima ancora c'è stato il sommo Grandville, il primo a collegare corpo animale e testa umana a fini caricaturali. Ma si può risalire più indietro nel tempo. Sentiamo Angelo Olivieri, storico della satira: «Intanto non c'è soltanto l'accostamento con gli animali - osserva -, ma anche quello con i vegetali: l'esempio più celebre è l'Arcimboldo, ma c'è anche il francese Charles Philipon, il fondatore di La Caricature, che a metà '800 disegnò in quattro qua¬ dretti la trasformazione di Luigi Filippo in una pera (pera in argot voleva dire "zuccone"). A fine '700 in Inghilterra James Gillray aveva raffigurato il primo ministro William Pitt come una piovra. E in precedenza c'era stata tutta la tradizione della fisiognomica, da Lavater risalendo fino a Agostino Carracci e a Giovambattista Della Porta, nel '500, che aveva ricollegato ogni tipo umano a qualche animale: l'intento era scientifico, ma il risultato indubbiamente caricaturale». Tutti nazisti in pectore? Nazisti anche Esopo e Fedro, con i loro animali parlanti umani-troppo umani? E oggi, dopo che su questo stilema si è apposto il sinistro sigillo della croce uncinata, è il caso per i disegnatori di autocensurarsi? «No - risponde Tullio Pericoli, uno dei nostri più raffinati carica- turisti -. I limiti devono nascere spontaneamente nell'uso che si fa di un certo linguaggio grafico. La raffigurazione animalesca, così come la deformazione del naso, delle orecchie, del mento, è un luogo comune e ormai consunto della caricatura. Si può fare di meglio, bisogna leggere a lungo il volto del personaggio. La copertina dello Spiegel è forte ma non colpisce, perché si rifa a soluzioni grafiche già viste». Limitarsi, e perché mai? si stupisce Forattini. «Io però preferisco disegnare i politici vestiti da mafiosi: è più confacente alla satira. Gli animali sono più indicati per la parodia, per la caricatura. E poi evocano sempre qualche cosa di innocente, di affettuoso: non vanno bene, sono troppo simpatici». Maurizio Assalto