Ma l'Odissea è un'apocalisse o una catastrofe? di Alberto Papuzzi

Ma l'Odissea è un'apocalisse o una catastrofe? Ci siamo innamorati di tre grandi simboli senza capirli: uno studioso spiega perché Ma l'Odissea è un'apocalisse o una catastrofe? Erano parole «positive», il nostro masochismo le ha capovolte "7ST1 OFFRO, dunque sono. L ' Ecco la filosofia della mom dernità. Perciò oggi ci l | piacciono tanto parole I rome odissea, catastrofe e apocalisse, di cui peraltro abbiamo distorto in senso peggiorativo i significati originali. In un libro dal titolo sorprendente e affascinante, Storia dell'inquietudine, appena pubblicato dall'editore Donzelli, lo storico del costume Augusto Placanica, già autore per Einaudi nel 1985 di un altro saggio dal titolo suggestivo, Il filosofo e la catastrofe, dimostra come l'uomo moderno, l'uomo occidentale dei giorni nostri, sia affezionato a scenari oscuri, a prospettive allarmanti, e ami immaginare per sé e per il mondo destini drammatici, tra- gicamente incombenti. «L'orizzonte della sofferenza e della paura - scrive - si è ampliato a dimensioni planetarie». Siamo masochisti, forse per esorcizzare le nostre paure. Ma lutti e travagli, tristezze e angosce non hanno afflitto anche i nostri avi, giù giù fino alle epoche antiche? Non ci è stato anzi predicato che nel passato si viveva peggio: più malattie, più miseria, meno rispetto per la vita umana? E' vero, verissimo, risponde Placanica, ma fino a qualche generazione addietro angoscia e timore «avevano un'origine vicina, calda, consueta, che alitava all'interno della propria famiglia e del proprio villaggio», mentre oggi i mezzi di comunicazione introducono nella nostra vita quotidiana lo spettacolo inesorabile degli odii, ingiustizie, violenze, atrocità che accadono in ogni parte del mondo. Viviamo proiettati verso il benessere, la salute, la felicità e il male rimbalza su di noi come una beffa del destino. Un ineluttabile contrappasso condanna al lutto il secolo del progresso, secondo Placanica. Per esempio, abbiamo rimosso dalla vita sociale la morte individuale al punto da auspicare una morte improvvisa, come quella che comporta meno dolore e turbative, ma viviamo nel timore «della fine fisica della nostra civiltà», della sua eclissi, di un suicidio collettivo, per inquinamento, guerre, squilibri demografici, malattie incurabili. A riprova di ciò ecco il mutamento, nel nostro linguaggio, di tre parole chiave: odissea, catastrofe, apocalisse, diventate tre abusate metafore di tutto ciò che può accaderci di pessimistico e di angosciante. Ma il loro significato non era in origine così negativo. Cominciamo da odissea che un tempo aveva un significato positivo, perché dei due poemi omerici Y Odissea è quello a lieto fine, mentre YIliade gronda lacrime e sangue. Infatti fino all'800 si diceva: «Sono finito in un'iliade di guai», né si sarebbe mai intitolata la storia di un bambino ebreo nei lager nazisti Odissea tragica (film del 1948 con Monty Clift). Ecco infatti nei Promessi Sposi il Conte zio suggerire l'allontanamento di fra' Cristoforo, onde evitare «un monte di disordini, un'iliade di guai». E l'uso attuale di catastrofe non ha forse fatto dimenticare l'interpretazione antica di cambiamento e capovolgimento, nonostante in questo senso la consideri René Thom nella sua famosa «teoria delle catastrofi»? Per non dire di apocalisse, che nel testo biblico allude a uno scenario di riscatto, di resurrezione, di rinascita, di palingenesi, ormai cancellato dalla visione tenebrosa dell'incombere di una fatalità senza speranza, senza futuro. Perché si è arrivati a questi stravolgimenti? Sono un effetto del disagio e delle difficoltà dell'intellettuale moderno di fronte all'impossibilità di padroneggiare processi e trasformazioni culturali. Le visioni apocalittiche diventano un rifugio, per quanto tragico, una risposta, per quanto terribile: «E' illuminante il fatto che un intellettuale come Asor Rosa - scrive Placanica - sia convinto che apocalisse sia stato sempre sinonimo di dolore collettivo». Naturalmente c'è anche l'altra faccia della medaglia: quella dell'industria culturale e del suo fagocitante mercato, per cui anche le catastrofi, anche le apocalissi diventano un business. La catastrofe ha successo, al punto che ne è nato un genere cinematografico. L'apocalisse fa vendere: Placanica cita il 33 giri Apocalypss hard-core e la pubblicazione a dispense Apocalisse degli animali. Insomma: soffro, dunque vendo. Alberto Papuzzi I Ulisse e il Ciclope in una figurazione vascolare. Dei due poemi omerici l'Odissea è quello a lieto fine, quindi il significato della parola non era negativo: Alessandro Manzoni parlava di «un'Iliade di guai»

Persone citate: Alessandro Manzoni, Asor Rosa, Augusto Placanica, Einaudi, Monty Clift, Placanica, René Thom