Economisti in lite banchieri in affanno editori in subbuglio di Valeria Sacchi

Oggi a Lussemburgo il consiglio dei ministri economici e finanziari della Comunità NOMI E GLI AFFARI Economisti in lite, banchieri in affanno, editori in subbuglio Uno va in Germania, a un faccia a faccia tra il ministro dell'economia, Gunter Rexrodt, alto e belloccio, che non sfigurerebbe nel ruolo di protagonista di una Dallas politica, e gli economisti capo delle tre maggiori banche tedesche. Klaus Friedrich della Dresdner, Ulrich Ramm della Commerzbank e Norbert Walter della Deutsche sono meno belli, anche se Walter sfoggia baffetti alla moschettiera. Ma a modo loro sono tre miti. Inizia la discussione che ha per tema lo stato dell'economia tedesca. E inizia lo stupore. Abituati ai dibattiti di casa nostra, che volano il più possibile alti, come non stupirsi se il tema che più accende gli animi è quello della liMario Monti beralizzazione il bocconiano dell'orario di Spaventa il ministro apertura dei negozi, roba da Francesco Colucci? La domanda sorge spontanea: avranno ragione i nostri economisti, che si esercitano preferibilmente su debito pubblico e saldi primari, o gli economisti tedeschi, che rissano sui punti vendita? E ancora: quando l'Italia avrà messo in ordine i suoi conti e saremo saliti in serie A, anche Mario Monti e Luigi Spaventa si occuperanno di botteghe? Intanto, continua serrata la diatriba sulle privatizzazioni. Che, tuttavia, ha mutato, in certo senso, rotta. Mentre il presidente del consiglio Carlo Azeglio Ciampi porge un simbolico ramo d'olivo, accennando accademicamente a eventuali «noccioli duri» che paghino più salate le loro azioni, ri¬ nasce un vecchio spauracchio: la sinistra democristiana. La quale, oltre ad aver messo le mani sopra le poltrone della Rai (complice forse l'ingenuo Claudio Demattè?), dirigerebbe saldamente il traffico delle vendite pubbliche decise da Romano Prodi. Come dimostrerebbe l'affare Cirio. Effettivamente, il vincitore della gara per il gruppo alimentare della Sme, ossia la Fisvi, una finanziaria composta da cooperative agricole, nella quale giocano ruoli importanti il Banco di Napoli di Ferdinando Ventriglia e l'industriale parmense Callisto Tanzi, appare soggetto non fortissimo. Seppure con cautela, il suo presidente, Saverio Lamiranda, ha am- ■ messo trattati- ■ »* ve per la ces- Calisto Tanzi sione dell'Olio re del latte Antonio Fazio l'ottimista Bertolli alla Unilever. Come dire che una parte dei soldi che Fisvi dovrà versare a Sine, verranno da questo primo sub-affare. Ma ha anche ragione Lamiranda, allevatole di ovini vicino a Potenza, quando aggiunge «Siamo piccoli, ma questa operazione ò un'occasione per crescere». E intanto si guarda intorno, con l'occhio di uno che dubita di essere capito. Stamane il governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, dovrà risolvere un altro problema del Mezzogiorno, il salvataggio del Banco di Sicilia. L'appuntamento in via Nazionale è con il nuovo presidente dell'istituto di Palermo, Giuseppe Antonio Banfi. Al Banco servono 850 miliardi, la formula è quella del prestito subordinato. Ma alcune delle banche precettate hanno sollevato dubbi. Come l'Imi di Luigi Arcuti, pure lui avviato sulla strada del mercato. Ecco allora rispuntare nel piccolo plotone la Comit di Sergio Siglienti e il Credit di Natalino Irti, già scartate perche privatizzando. Allargando la squadra, ci si consola a vicenda. Il governatore non può essere smentito. Il mondo dell'informazione è in effervescenza. Mentre è già cominciato il conto alla rovescia per «Il Giorno», i salotti romani si occupano da qualche tempo degli scenari di «La Repubblica». Le voci sono confuse e contraddittorie, in perfetta sintonia con la babele generale. Non si capisce, ad esempio, se sia il direttore Eugenio Scalfari a sognare un Luigi Arcuti privatizzando progressivo distacco dal suo editore di controllo, o se sia Carlo De Benedetti a chiedersi se non sia tempo di divorziare dal giornale del cuore. Una terza ipotesi avvalora la tesi che il presidente di Olivetti tasti semplicemente il terreno, per capire se esiste qualcuno disposto a pagargli 600 miliardi per il quotidiano romano. Una sorta di test di mercato. Se va, perché no? Comunque, l'Ingegnere non rinuncerebbe a «L'Espresso». Siccome, oggi, non ci sono tan te persone in giro che possono titare fuori tanti soldi, ecco spuntare il nome di Luciano Benet¬ ton, il quale è anche in corsa per comperare la tenuta di Maccarese, gioiello da 140 miliardi. Benetton smentisce. Ma altre confidenze sono già in circolazione. Si sussurra che mai e poi mai Scalfari è disposto a restare con capitali trevigiani. Di più: se questo succederà, lui se ne andrà. Dove? Un ben informato informa che potrebbe decidere di lanciarsi in una nuova sfida: «Il Messaggero,;, la tascata già di Raul Cardini e Carlo Sama, che è ora uno dei capitoli del piano Mediobanca per il risanamento del gruppo Ferruzzi. Per il «Il Messaggero», avrebbe fatto un pensierino Paolo Berlusconi. Quanto ad Attilio Monti e al nipote Andrea Rieffeser, il loro interesse è cosa stranota. Di un uomo non si conoscono le intenzioni: Carlo Caracciolo, azionista di mionranza del gruppo Espresso-Repubblica, principe editore. Valeria Sacchi Caracciolo enigmatico ■ Benetton no all'editoria De Benedetti l'editore Caracciolo enigmatico Spaventa il ministro Antonio Fazio l'ottimista Luigi Arcuti privatizzando Calisto Tanzi re del latte Mario Monti il bocconiano

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