Everett la «controfigura»

Everett, la «controfigura» Everett, la «controfigura» «Mipiace questo personaggio E' ambiguo alla James Dean» ROMA. Guardando Rupert Everett, sul set di «Dellamorte Dellamore», tornano in mente le parole con cui Tiziano Sciavi, in apertura del suo libro, descrive il protagonista: «E' magro, ha la faccia affilata con un'espressione perennemente impassibile tendente al menefreghista, e ha in bocca una sigaretta fradicia...». Da Dellamorte a Dylan Dog il passo è breve e da quest'ultimo a Everett brevissimo. Nato a Edimburgo, schivo e taciturno, ma anche capace di presentarsi in pubblico vestito con il tipico gonnellino scozzese («Provengo da una ricca e nobile famiglia scozzese»), indossatore nella sua prima giovinezza, poi attore di teatro, cinema, televisione, Rupert il bello incarna l'ideale di eterno adolescente tormentato a cui Sciavi si è riferito per creare il personaggio di Dylan Dog. Si racconta che l'autore, dopo aver visto il film di Mariek Kanievska «Another Country», abbia cominciato a pensare al protagonista del fumetto divenuto oggetto di culto giovanile (e non solo) sul modello dell'attore. «Ne sono stato molto contento - commenta Rupert Everett - perché mi piacciono l'umorismo macabro e la secca ironia delle storie di Sciavi; storie che sono anche molto profonde». Non ha fatto fatica l'interprete di «Ballando con uno sconosciuto» e de «Gli occhiali i d'oro», di «Cronaca di una 1 morte annunciata» e di «Cortesie per gli ospiti» ad assorbire le abitudini e le manie di Francesco Dellamorte: il debole per le donne bionde, formose e in pericolo; la passione per le lunghe docce rilassanti; l'hobby della costruzione di un teschio luminescente. Dice Everett: «Non ho avuto dubbi nell'accettare questo ruolo: mi ha subito interessato perché ha due facce, una positiva l'altra negativa, e perché simboleggia, in una versione ovviamente più malata, una gioventù che ha molto in comune con quella rappresentata da James Dean. Una gioventù che non vuole crescere secondo le regole degli adulti». Everett racconta che la sua «è stata un'adolescenza okay» e fa sapere di non essere affatto un appassionato di horror. Anzi: «In genere non vado mai a vedere pellicole di questo tipo perché non raccontano belle storie e non descrivono bei caratteri e io, invece, quando decido di vedere un film cerco soprattutto una storia appassionante». Protagonista di recente della versione teatrale de «Il ritratto di Dorian Grey» e interprete televisivo del kolossal di Serghej Bondarciuk «Il placido Don», Rupert Everett spiega quanto gli sia difficile trovare parti interessanti: «Spesso mi propongono cose noiose, io preferisco non farle e così mi capita di restare fermo per dei periodi anche molto prolungati». Aggiunge l'attore: «Mi offrono sempre le stesse parti, parti stupide in film inutili; per questo c'è sta¬ to un periodo in cui il mondo del cinema mi aveva stancato, avevo intenzione di abbandonarlo del tutto per dedicarmi alla scrittura. Adesso però questo periodo è superato». E da un po' di tempo, al posto di quel disincanto e di quella voglia di mollare tutto, si è fatto strada un nuovo desiderio: debuttare dietro la macchina da presa: «Sarò regista e attore molto presto, forse già l'estate prossima: ho intenzione di dirigere il film tratto dal mio primo libro intitolato "Hello darling, are you working?". Le riprese saranno ambientate a Parigi, a Los Angeles e in Marocco». Anche per Everett, insomma, è arrivato il momento di crescere, magari proprio staccandosi dal cliché di bello impossibile che lo ha accompagnato fin dagli esordi. «Quelli erano i personaggi che mi capitava d'interpretare sul grande schermo - ha spiegato più volte l'attore -. Ci ritrovo, è vero, anche una parte di me, ma nella vita sono un ragazzo normale, con tanto bisogno d'amore». [f. ci

Luoghi citati: Edimburgo, Los Angeles, Marocco, Parigi, Roma