Droga la guerra è persa: dilagano assassini e spacciatori persino tra i figli della sana famiglia americana

Droga, la guerra è persa: dilagano assassini e spacciatori persino tra i figli della sana famiglia americana Droga, la guerra è persa: dilagano assassini e spacciatori persino tra i figli della sana famiglia americana ANEW YORK I due lati della filiale di Citibank, una delle banche più potenti del mondo, so 1 stano, seduti sul marciapiede, due mendicanti, una ragazza bianca, molto giovane, e un uomo nero, il tipo dell'ex atleta a cui i muscoli stanno diventando gonfiore. Il nero non chiede nulla. Ha fabbricato un altarino di cartone, ha preparato un bicchiere di carta per le eventuali offerte. Con le gambe lunghissime blocca in parte il marciapiede ma la gente prudentemente gira intorno invece di scavalcare. E' sudato, agita le mani, probabilmente ha fumato la vecchia droga dei poveri, il crack. La ragazza ha occhi cerchiati di nero come le comparse dei film di Charlie Chaplin, un esagerato pallore, e si limita a mostrare i buchi sulle braccia scarnite. Sa che i giornali e le televisioni da un po' di tempo vanno annunciando la nuova esplosione urbana nell'uso di eroina. Lei tende le braccia e sembra dire ai passanti: eccomi qua, esempio di sorella o di figlia, fate voi. Se volete liberarvi dal pensiero e dall'incubo vi basterà un dollaro. Il New York Times racconta così la storia: «Nonostante la sua sorprendente bellezza, nessuno sembra notare la giovane modella mentre si aggira sul marciapiede di East Harlem in cerca del venditore giusto per quello che cerca. Qui siamo al mercato. E benché questa non sia la folla che le è familiare e che, di solito, la circonda di ammirazione, lei sa che troverà qui quello che cerca. E' una delle "nuove", recluta fresca dell'uso di massa dell'eroina, che raggiunge i più giovani, in tutte le classi sociali, e non è più come il crack, la tragedia dei poveri. Benché la polizia non sia in grado di quantificare il problema, i ricercatori del consumo di droga e gli assistenti sociali ci dicono che in città come New York, Detroit, Los Angeles, San Diego si notano questi due fenomeni. L'eroina è letteralmente disponibile dappertutto, dalle gallerie d'arte all'ingresso dei grattacieli, e non solo nelle strade pericolose dei quartieri a rischio». L'annuncio è sorprendente. Ma non c'era stata la «guerra alla droga»? Non si erano riempite le carceri? Ci sono le cifre. Dieci miliardi di dollari (le fonti sono l'Fbi e il New York Times) sono stati spesi nella «guerra alla droga», da quando quella guerra è stata solennemente proclamata da Reagan. Poiché - nel mondo dei media - la guerra, per essere credibile, deve essere spettacolo, la «guerra alla droga» è diventata un grande spettacolo: notizie, documentari, quel tipo di «semi-fiction» che trionfa adesso in molta parte del giornalismo televisivo: la ricostruzione presumibilmente fedele di un fatto, realizzata con la collaborazione di chi vi ha partecipato, persino di volenterosi trafficanti della droga ora in prigione. E così, per anni, il pubblico americano ha assistito a irruzioni nelle case, quartieri circondati, imboscate violente, lunghe file di trafficanti incatenati, il volto tipico del criminale in primo piano. I buoni sono Narco team con giub- botti antiproiettile, armi automatiche. La tecnica è sempre la stessa, arrivare nel cuore della notte, i riflettori che d'improvviso si accendono, la squadra narco che si dispone in pochi gesti consacrati dal cinema, braccia levate in alto con la pistola, pronti a far fuoco, fucili automatici dai tetti. E poi escono dal riquadro nero della porta uomini e donne seminudi, svegliati di colpo, le mani dietro la testa, intontiti. Ogni volta sentiamo dire da uno dei capi della missione appena compiuta, o dal giornalista tv che ha avuto il privilegio di assistervi, che è stata stroncata una banda potente, responsabile del traffico di tonnellate di droga. Intanto elicotteri militari incendiano raccolti di coca boliviani, colombiani, peruviani. Navi da guerra vegliano al largo, motoscafi della Guardia costiera pattugliano le zone di confine più prossime al traffico, dal deserto dell'Arizona alle frontiere con l'Alaska e col Canada. Adesso? Adesso, ci dicono la Drug Enforcement Administration e soprattutto i medici del pronto soccorso nelle maggiori città americane, il «male droga» è una epidemia, come l'Aids che non ha una erra. Da Washington pubblicano una curiosa classifica, che è apparsa bene in vista su molti giornali americani, come se fosse un dato scientifico o di economia. E' il grado di purezza della nuova eroina, così come la si può trovare - oggi - nelle strade della città. Era pura al tre per cento, dieci anni fa, infinitamente diluita, dunque relativamente poco potente. Ora il «mercato» di Boston ha il primato, 81 per cento di purezza, New York vanta un solido 64 per cento, precedendo di poco Portorico e San Diego. La media si abbassa dove il mercato non è animato dalla vicace attività delle «gang» adolescenti che provvedono allo smercio. Ma ormai il drogato americano può contare su una eroina pura armento al 40 per cento. Questa purezza spiega il «boom» della nuova moda: si inala, si aspira, si annusa, non c'è più bisogno di iniettarla, cercando gli aghi e correndo il rischio. Ma i consumatori si moltiplicano, dal mondo della moda a quello dei ghetti, dai campus universitari al sottomondo criminale. Però bisogna andarci piano a chiamarlo sottomondo. Forse è meglio definirlo mondo parallelo, uno dei tanti in cui si sta riorganizzando la vita. Penso alla affermazione del capo della polizia di Forth Worth, una città del Texas, già dormitorio di classe media, gente tutta casa, lavoro e famiglia. Ha detto in un telegiornale: «La generazione dei ragazzi affiliati alle gang coinvolti nella distribuzione al minuto di droga (e naturalmente del consumo) per me è da buttare. Noi non abbiamo più alcun modo di raggiungere quei ragazzi, salvo il tentativo di distruggerli. Perciò d'ora in poi manderò i miei uomini nelle scuole a cercare di persuadere i bambini a non entrare nella rete mortale delle gang. Con gli adolescenti ho chiuso. Posso solo affrontarli con le armi». Il reporter della televisione ha voluto verificare. Su un marciapiede della città si erano radunati un centinaio di ragazzi di una delle più grandi gangs adolescenti d'America, quella dei Crips. Bei ragazzi atletici, in maglietta e jeans, col fazzoletto blu della banda al collo o in testa, legato alla pirata. Sembrava una scena da Mtv o uno spot pubblicitario di moda. Il reporter è salito sul tetto del furgone delle riprese e ha chiesto: «C'è qualcuno di voi che accetterebbe di uscire dalla gang?». Hanno alzato le braccia come in un musical, gridavano in coro: «No, no!». Hanno levato in alto le mitragliette automatiche di cui sono dotati. A Forth Worth, città industriale e di classe media del Texas, su un marciapiede, di fronte alle telecamere un centinaio di giovani orgogliosi della loro appartenenza alla nazione-clan della banda si dichiarano pronti a uccidere e a essere uccisi. La polizia di Forth Worth fa sapere perché intende rinunciare. «Abbiamo affrontato la battaglia in grande. Ci avevano detto che era parte di una guerra. Non abbiamo più fondi. Le gang di ragazzi, invece, sono dotate del danaro della droga e fanno sempre nuove reclute. I cittadini devono sapere che questa battaglia l'abbiamo persa. Se c'è stata una guerra abbiamo perso anche quella». «Io sono uno!», grida al giornalista, mille miglia lontano da Forth Worth, il giovane George Clementi, di 14 anni, abitante della cittadina residenziale di Yonkers, vicino a New York. Ne parla il New York Times del 24 luglio 1993, annunciando l'espandersi delle gang criminali di ragazzi bianchi nel cuore delle famiglie legate al lavoro, alla carriera, alla scuola. Le più attive gang adolescenti di Yonkers sono The Crime Related Artists (gli artisti del crimine) e The United Crime's Kings (i re del crimine unificato), nomi da gruppi punk, giovani guerrieri fra i tredici e i diciassette anni, l'età della scuola media. Ciò che stupisce la polizia è che i figli di una vita molto meno drammatica di quella dei ghetti si danno da fare per raggiungere lo stesso «status» di ragazzi sospesi nel vuoto, senza altri impegni e altro futuro che la nazione-banda. Dice, disorientato, il poliziotto Victor Mendez, che segue il problema: «La loro attività copre tutto l'arco, dai graffiti osceni allo scherzo pesante, dalla scazzottata fra ragazzi al tragico e ormai stabile fenomeno americano del drive by shooting (sparare a caso sui passanti dall'auto in corsa). Dice uno dei ragazzi dei Crime Related Artists, intervistato all'ospedale, accanto al letto di un compagno diciassettenne che muore: «Sono passato in poco tempo dai pugni al rasoio, allo Uzi semiautomatico». «Ragazzo muore, nessuno muore», questo - sento dire - è il motto delle bande di ragazzini benestanti che non vogliono lasciare ai più poveri il privilegio della vita arrischiata, della separazione generazionale, delle armi. Il motto esprime una sorta di erniosa fede nella identificazione-reincarnazione: ciascuno è l'altro, prende il posto dell'altro, la vita giovane è una continuazione di energia distruttiva che ha una sua immortalità collettiva. «Uccidi me, viene un altro. Da lontano non puoi neanche distinguerci». Quanto ai genitori, sostiene la polizia, non sono di aiuto. Dice Keryn Addison, investigatore di criminalità giovanile nel paesino di Mount Vernon: «Invece di chiedersi che cosa faceva il loro figlio, dodicenne, in un scontro a fuoco alle 3 del mattino, immediatamente mi sfidano: "Come può provare che mio figlio era armato?"». Gli adulti si mobilitano in ogni sorta di comitati, di gruppi politici, di pressione, di educazione, di prevenzione, di propaganda. «Forse - dice il detective Addison si mobilitano dovunque meno che in casa». Il fatto è che Westchester - il villaggio più ricco nei dintorni di New York, abitato quasi soltanto da professionisti e dirigenti di impresa e finanza - ha censito, fino ad ora, l'esistenza di 70 gang adolescenti, un piccolo esercito di 1500 ragazzi armati, ciascun gruppo impegnato ad assaltare e svaligiare le belle case degli altri. La droga, spiegano gli esperti, rincorre le bande. E' un contatto facile, naturale, fra due realtà estranee alla legge e all'idea della pace secondo la legge. Come il tatuaggio, la droga è una sfida che sigilla il patto di «non ritorno», il legame fra membri di gang. Poi diventa commercio. E la distribuzione dilaga. Nel frattempo i combattenti della legge e dell'ordine sono a corto di fondi (come ci dice la polizia di Forth Worth), i politici promettono che «avranno la mano pesante». E mentono. I sindaci, gli amministratori eletti non hanno alcun potere sulla criminalità, specialmente su quella dei ragazzi di banda. E coloro che forse potrebbero sono distratti da immensi problemi, come quello degli immigrati clandestini, che sono diventati l'ossessione del Paese e vengono ormai giudicati - ma è un estremo esempio di disorientamerte sociale - la causa di tutto. Così nuovi fondi, nuove autorità, nuove leggi, nuove «guerre» dichiarate ai clandestini, e le bande di adolescenti passano su e giù, nelle strade dove essi stessi vivono, a bordo di auto rubate; distribuiscono droga e sparano. Furio Colombo Ormai è quasi pura, non c'è più bisogno di siringhe: si inala e si evita l'Aids. Sui giornali le quote del «taglio» del giorno Il mercato dell'eroina ormai inizia sulla porta delle scuole medie. E l'età tende ancora ad abbassarsi Immagini di droga in America: l'eroina è uscita dai ghetti e dilaga ormai in tutta la società