Quando si indagava
Quando si indagava Quando si indagava «Ibei tempi di Montesano» I MITICI ANNI 70 FA ancora effetto sfogliare quelle pagine. E' un piccolo dizionario di termini usati dalla «mala» torinese negli Anni Sessanta. La prostituta era «tarifa», ma «candeila» se ferma agli angoli delle strade e «testina» se molto giovane. Le manette erano «gli uciai 'd Cavour», il poliziotto «man 'd fer», i carabinieri «fratelli Branca». Trenta pagine fitte fitte. Parole in dialetto piemontese e traduzione, raccolte per i sottufficiali della Mobile di quegli anni. I più erano del Sud: quel dizionario li aiutava a capire cosa si dicevano da una cella all'altra gli arrestati. Uno di quei sottufficiali era Aldo Rizzo che un brutto male si è portato via. In quegli anni non c'erano pentiti e confidenti. Rizzo, per raccogliere informazioni, spesso dormiva con i fermati nelle celle della questura. «Le indagini le facevamo sulla strada, tessendo una rete sulla città» racconta il maresciallo Ferdinando Pisacreta, in pensione dopo 42 anni di polizia, per diciotto «ombra» del dottor Giuseppe Montesano, mitico capo della Mobile e della Criminalpol negli Anni Settanta. «Tutte le se- re si andava nei locali notturni, nelle bische, sui viali della periferia. Conoscevamo delinquenti, prostitute, ladri e gargagnani. E raccoglievamo notizie, informazioni, oualche soffiata». Ma allora, ammette, la malvita era diversa: «Non c'era la droga, cinque o sei le bande di rapinatori, pochi e conosciuti i ricettatori». C'è amarezza e rabbia in questura per l'arresto di quattro agenti e sottufficiali in pochi giorni e per il trasferimento del capo della sezione narcotici. Da tempo c'è malessere. Che cosa sta accadendo? Giovanni Dei Giudici e Maurizio Blini, del Siulp, sindacato unitario di polizia, tentano un'analisi: «Sono venute a mancare le vere inchieste di polizia, oramai ci si affida alle parole dei pentiti». Parlano di «molti delitti insoluti, di compartimenti stagni tra le sezioni». E sembrano «mancare il controllo del territorio e l'organizzazione del lavoro». Il maresciallo Giacomo Di Stella è in pensione dopo 41 anni di servizio, 31 dei quali trascorsi alla Mobile. Ha sempre indagato sulla grande criminalità e sui sequestri di persona: «Quattro sol- di, spesso 15 ore di lavoro; ma quello era il nostro dovere». Ricorda che ogni mattina il capo chiamava tutti: «E tu che cosa stai facendo?». Un discorso corale, che coinvolgeva ogni uomo. Ora Stefano Bel Fiore, segretario provinciale del Sap, sindacato autonomo di polizia, parla di «generale avvilimento dello stato d'animo degli agenti». Perché? Bel Fiore lo ha scritto in una nota riservata data al questore Carlo Ferrigno in agosto, pochi giorni dopo il suo arrivo a Torino. Parla di «una dirigenza impegnata soprattutto ad inseguire la carriera, utilizzando ogni possibilità, anche calpestando i diritti dei dipendenti». E così, aggiunge, «si finisce per orientare anche il modo di pensare del personale verso questa logica: i servizi vengono svolti in funzione del premio e non perché è dovere». Dei Giudici e Blini confermano: è davvero «rincorsa esasperata» all'encomio o al titolo sul giornale. In questo contesto, dicono in molti, va letto il discorso dei pentiti: «Possono farti fare il colpo grosso, quello che ti permette un balzo in una carriera altrimenti lenta e lunga». E per una soffiata si può accettare di fare ciò che non dovresti. Dice il sindacato: «Non vogliamo giustificare, ma capire». «Ai nostri tempi i pentiti non esistevano», racconta il maresciallo Gaspare Patera, uno dei fondatori storici del sindacato di polizia, 35 anni di Mobile e Criminalpol. «C'erano informatori, ma erano le indagini che, quasi sempre, facevano scoprire assassini e rapinatori». Anche allora c'era chi sbagliava. Le cronache parlano di un agente che telefonò ad un pregiudicato: «Stiamo per arrestarti». Di un falso maresciallo che «aiutava» all'ufficio passaporti. E si racconta che, scoperto e allontanato, dovette essere sostituito da due agenti, tanto era bravo. Ezio Mascarino Parlano i marescialli di allora: «Non avevamo i pentiti, andavamo in giro a cercare i criminali»
Luoghi citati: Torino
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