Sostituirà la Cuccarini nel programma di Canale 5 che fronteggia «Domenica in» di Masolino D'amico

Sostituirà la Cuccarini nel programma di Canale 5 che fronteggia «Domenica in» Spettacolo di Camus con la Liberati Caligola pieno di tic (ma perché donna?) Protagonista doveva essere la Gravina che ha lasciato poco prima del debutto ROMA. Il guaio del chiacchieratissimo «Caligola» di Albert Camus che ha finalmente debuttato al Nazionale con tre settimane di ritardo non dipende dal forfait della protagonista designata Carla Gravina, assai accettabilmente rimpiazzata come si dirà fra poco: ma dipende dal testo, che malgrado la sua discreta fortuna - tre allestimenti importanti in Italia prima di questo, dal 1945 a oggi - si conferma ideologicamente confuso e teatralmente quasi inerte. Nella sua ricerca della felicità, il giovane imperatore uccide, quasi per affermare che la libertà consiste nel dare la morte senza motivo - «L'omicidio come gesto "filosofico"» si intitola appunto un capitolo del saggio di Maurizio Grande offerto col programma di sala - ma alla lunga il troppo, com'era prevedibile, stroppia. Camus aveva concepito questo torvo eroe del negativo già negli Anni Trenta, ma dopo la guerra riscrisse il testo, pare perché non sembrasse una glorificazione di Hitler. L'ottima versione di Franco Cuomo presentata dal regista Marco Lucchesi è quella più antica, dalla quale sono però state espunte le allusioni alla sorella-amante Drusilla, il dolore per la cui scomparsa vi era messo all'origine della sete di sangue dell'imperatore. Così non abbiamo, quasi, vicenda, solo una sorta di rituale in cui il despota sottopone i senatori a umiliazioni sempre più cocenti (ma le morti e le violenze accadono fuori scena), fino alla rivolta finale, descritta in poche battute da una voce amplificata dal microfono, a sipario chiuso. I pochi momenti stimolanti per l'ascolto sono quando Caligola si interroga sul senso di quello che fa, ovvero cavilla anche brillantemente col suo solo interlocutore di qualche peso, il capo dei pretoriani Cherea. Saggiamente Lucchesi ha evitato l'effetto-sauna dei consueti romani avvolti nei lenzuoli optando per frac un po' stazzonati e vagamente absburgici e chiedendo allo scenografo Sergio Tramonti uno spazio neutro, scuro, che somiglia a un teatrino nel teatro e che può diventare agilmente un caffè con tavolini o un salone buono a più usi. Questo spazio è sormontato da una passerella praticabile, donde un personaggio, Scipione, commenta a volte quanto accade; e viene coperto all'inizio e alla fine da un grande sipario tipo muro, sul quale l'imperatore prima scrive, alla rovescia, il graffito «gli uomini non sono felici», e poi lo cancella. Grazie anche alle luci morbide di Pietro Sperduti e alle musiche eterogenee di Daniel Bakalov (una citazione dei Platters ha preso l'applauso), lo spettacolo ha una sua cifra di qualche suggestività, e le prestazioni degli attori, specie di Pietro Biondi che è Cherea, di Bedi Moratti che è la malinconica Cesonia, e di Lorenzo Loris che è Scipione, sono solide. Non funziona invece, ahimè, la protagonista, e non per demerito della brava e coraggiosa sostituta Cristina Liberati, oltretutto handicappata da un auricolare che da lontano sembra un gigantesco ansaplasto applicato a Van Gogh dopo il gesto insano. E' l'impostazione a non convincere. Perché una donna in questa parte? (Nel caso della Gravina, forse, perché quella donna era una diva, e aiutava a vendere il prodotto?) La Liberati non punta su alcuna ambiguità sessuale, del resto poco giustificata dagli argomenti in ballo, ma fa l'uomo; e caratterizza quest'uomo come un pazzo. I capelli rapati a zero, col tic di grattarseli in continuazione, una tonaca nera sotto un cappotto di cuoio antracite, sembra un incrocio fra un seminarista e un naziskin - e si muove ingobbita, parla biascicando o con falsetti, esibisce insomma un campionario di manierismi da Actor's Studio. Questa scelta registica è assai opinabile, perché mentre da un lato rende il (la) protagonista difficilmente sopportabile, dall'altro toglie a Caligola la sua micidiale lucidità: sembrerebbe più logico il contrario, Caligola (il quale dice sempre cose sensate anche quando sembrano assurde) paradossalmente unico «sano» in un mondo di mostri. Faticosi dunque sono apparsi i due tempi (60' e 45'); la sala, gremita, ha comunque molto festeggiato gli interpreti. Repliche qui fino al 24. Masolino d'Amico

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