Carissimo

Carissimo Calano le vendite, i prezzi sono sempre più alti. Lucio Dalla: «Così si penalizzano i giovani debuttanti» Carissimo MILANO. Un crollo del 18 per cento nei primi sei mesi del '93. Si vendono meno dischi. Le tirature da un milione di copie sono un ricordo dolce e perduto: le superstar s'accontentano di 400 mila, però 300 mila vanno benissimo, 200 mila perché no? Ma il traguardo delle 100 mila è per i più una pia speranza assai disperata. Persino il settore compact, dopo anni d'ascesa costante, cala del 3,64 per cento. Colpa della crisi. E dei prezzi: sono troppe, 35 mila lire per un ed? Sì, pensano gli acquirenti, sempre più ex. Lo pensa anche qualche cantante. Enrico Ruggeri, ad esempio: al grido di «Comunque musica», offre ai fans due ed al prezzo di uno. «La giostra della memoria», più un album del vecchio repertorio. «Ho rinunciato alle royalties, per questo è possibile», spiega Rouge. E' possibile anche perché un vecchio album ha già ammortizzato gran parte delle spese di produzione: su quelli nuovi c'è poco da risparmiare. Lo sostiene Red Canzian dei Pooh. E' un esperto in materia, Red: sia perché i Pooh hanno sempre venduto dischi a vagonate, sia perché possiede uno studio di registrazione, il Morning, e la sa lunga sulle spese della discografia. «In America i ed costano molto meno: ma vendono molto di più. L'Italia ha problemi speciali. La pirateria, intanto: per nomi come i Pooh può arrivare al 40-50 per cento del fatturato. E c'è il malcostume di alcuni negozianti: gli dai una cassetta e diecimila lire e ti registrano la compilation che vuoi». Soldi facili ed esentasse. La pirateria - o la semplice riproduzione casalinga - sono il peggior incubo dell'industria musicale. Ma Lucio Dalla, cantautore e discografico di se stesso, non demonizza il fenomeno. Si limita a prenderne atto: «Se un ragazzo si duplica un disco non me la sento di condannarlo, non lo considero un malandrino. E' una cosa legittima, dal suo punto di vista. E se con le duplicazioni diamo da mangiare a qualche terzomondista, meglio. Oggi tutto va ridiscusso, anche il numero delle scarpe. Pure i prezzi. Ma non è quello che risolve. E' mutato l'uso che la gente fa della musica. E il bisogno di musica non è necessariamente bisogno di dischi. Io mi metto in discussione: se bisogna cambiare devono farlo gli artisti, non i discografici». Comunque, l'irruzione nel paradiso delle majors delle «posse» nate nei centri sociali ha già portato una ventata sovversiva in strutture che parevano immutabili. I nuovi musicisti vengono dall'autogestione, dai prezzi politici. E qualcosa rimane anche quando entrano nel giro grosso. Fabio Barovero ha avuto successo, quest'anno, con le sue due band: Mau Mau e Loschi Dezi. «La cosa grave è che i prezzi variano: fino a 5-6 mila lire da negozio a negozio - dice -. Però l'artista ha un margine di manovra: dipende dalla sua forza contrattuale e da quanto la vuol far pesare. Adesso, con il disco dei Loschi Dezi, ci giocheremo le nostre piccole chances per ottenere che non superi le 24-26 mila lire». Prima sorpresa: il dettagliante paga 17 mila lire alla casa produttrice il ed che potrà rivendere a 35 mila. Quelle 17 mila coprono le royalties del cantante (dal 6 al 25 per cento, la media è sul 10), la registrazione, il materiale, la pubblicità, la distribuzione. E il guadagno netto? «Pochi biglietti da mille», dice un discografico. Quanti? «Diciamo due?». Diciamolo. «Costo del lavoro e tasse in Italia sono pesanti - s'infervora Red Canzian -. Le case guadagnano troppo? Non so. Soltanto la registrazione si prende il 7 per cento del budget. Come minimo. Per un dignitoso album di un esordiente, sono almeno 150 milioni: e quando li recuperi, col disco di uno sconosciuto? Aggiungi un cento milioni di promozione, e t'accorgi che i margini sono stretti... Sotto le 200 mila copie sei a rischio». Anche Dalla ci riflette: «I costi e quindi il prezzo dei dischi penalizzano i giovani musicisti: li mettono in concorrenza spietata con i grandi nomi. Un album di Sting costa in negozio quanto quello di un ragazzo alle prime armi». Beppe Carletti, leader dei No- madi, si può permettere un giudizio al di sopra delle parti: «Per noi la crisi non c'è, come non c'è stato il boom: abbiamo sempre mantenuto certi livelli, certi obiettivi. Però non riusciamo a capire perché i compact costino tanto: nessuno ce lo sa spiegare. Le multinazionali discografiche seguono direttive che arrivano dall'estero: anche per i prezzi, credo. Una considerazione: adesso è facile dire che si sta con la gente e che la musica deve costare meno. Giusto: però chi ci pensava, quando vendevano i milioni di copie?». Già: il rock era la gallina dalle uova d'oro. Ci credevamo ricchi, il mercato tirava. Poi arrivò il '93. E il grande freddo congelò i dischi caldi. Gabriele Ferraris NEGOZIANTE GUADAGNA Chi guadagna sul dischi? Lo schema riporta In percentuale! costi che pesano sul prezzo, tinaie di un Cd. Si tratta di dati largamente indicativi. Voci come «royaltiesdell'artista», «pubblicità', ■produzione e registrazione'variano a seconda dell'Importanza del cantante. Enrico Ruggeri

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