Picasso e la sua piccola amante «Povero Pablo, t'imborghesisci»

Picasso e la sua piccola amante «Povero Pablo, t'imborghesisci» In libreria le memorie di Fernande Olivier: dalla fame alla gloria, all'abbandono Picasso e la sua piccola amante «Povero Pablo, t'imborghesisci» DEV ESSERE stato triste invecchiare per «la belle Fernande», che dopo aver riempito di sensualità e di —_J allegria la vita di Picasso negli anni della miseria, scivolò nel buio appena iniziarono quelli del successo e della prosperità. Ma sarebbe ingiusto - anche se è stato fatto - credere che Fernande Olivier abbia voluto vendicarsi scrivendo un libro di memorie ingeneroso nei confronti del suo antico amante. Non è così: il suo Picasso e i suoi amici, che Stock pubblicò nel 1933 a Parigi, e che sta per uscire da Donzelli in questi giorni, è imbarazzante solo nella misura in cui possono esserlo la malinconia e la disillusione di una donna che ha amato un ventenne che girava per Montmartre in tuta da stagnaro, e non ha saputo rassegnarsi a vederlo cambiare, mettersi il frac e prendere da solo la via della ricchezza. Ecco, è tutta qui la storia di Fernande. Ed è significativo che per raccontare un fatto inevitabile come il trasloco dell'artista dal poverissimo Bateau-Lavoir al nuovo studio di Boulevard de Clichy, nel 1909, la bella pittrice e modella prenda la penna e intitoli quel capitolo «Picasso s'imborghesisce». Del resto dalla casa di Rue Ravignan dove cinque anni prima si erano incontrati - lei una ragazzina della piccola borghesia francese, con un matrimonio violento alle spalle - alle stanze spaziose del nuovo studio di Clichy il salto era tale che i facchini stessi credevano che il traslocante avesse vinto una lotteria. Ma no: era solo girata la ruota della fortuna, e come tutti sanno a darle la prima spinta erano stati Leo e Gertrude Stein, che avevano riempito Picasso di lusinghe e di dollari, comprando entusiasticamente tutto quello che potevano. 19041912, dunque: questi sono gli otto anni in cui Fernande la ragazza solare, alta, ottimista e tutta salute si accompagna al piccolo e lunare Picasso che cerca la sua strada lontano da casa. «Non ho mai conosciuto uno straniero meno fatto per la vita di Parigi. Sembrava che non si sentisse mai a suo agio, era irritato, soffocato da un'atmosfera che non poteva essere la sua». Eppure quei giorni di digiuni forzati, i giorni dei libri comprati a pile dal bouquiniste di rue des Martyrs, la gelosia morbosa di lui che la rinchiudeva al Bateau-Lavoir, hanno un'aria così promettente nel racconto della Olivier: forse perché l'illuminano tutte le speranze che, ahimè, si sarebbero un giorno avverate. «Si versano più lacrime per le preghiere esaudite che per quelle non accolte», dicevano Santa Teresa e Truman Capote. E non è mai stato così vero. Quanto al primo studio di Picasso che lei descrive con stile rapido, con i suoi materassi ammonticchiati per ricevere gli amici, risuona in ogni pagina delle risate grasse di Apollinaire alle spalle delle altrui disgrazie, del «grido del Grande Lama» di Marie Laurencin che gli faceva eco, e dell'eloquio solenne di Matisse, che l'irsuto Braque osservava diffidente, mentre trillava la voce di Max Jacob, che con grazia mondana raccontava i peggiori pettegolezzi di portineria. Fernande resta stupita nel 1904 davanti alle opere del nuovo inquilino di Rue Ravignan, che non riusciva proprio a situare nella scala sociale. «Colpita e attratta. L'elemento morboso che avvertivo mi disturbava un po' ma allo stesso tempo mi attraeva. Era alla fine del pe¬ riodo blu. Dappertutto, grandi tele incompiute, sparse in mezzo allo studio dove si respirava aria di lavoro, ma, gran Dio, in mezzo a che razza di disordine!». In un angolo c'era un sommier nudo e crudo, sulla stufa di ghisa arrugginita una bacinella di coccio per lavarsi, un baule per divano, una sedia di paglia, un tavolo per mangiare con un topolino bianco nel cassetto che Picasso mostrava a tutti. E uno strano quadro con uno storpio che porta sulla schiena un canestro di fiori, che Picasso avrebbe cancellato dipingendoci sopra il suo Arlecchino col cappello da buffone, destinato alla collezione Rouart. Fernande dubita mentre scrive - intorno al 1930 - che Picasso si ricordi ancora della ragazza che cucinava per lui e i suoi amici, e si faceva regalare il carbone dal car¬ bonaio di Rue d'Orchampt, che si era innamorato di lei. Ma si sbaglia. Perché trent'anni dopo, quando si ritrovò malata e sola, Picasso, si sa, l'aiutò inviandole denaro. C'è del rancore però, questo sì. Rancore sommesso per tutti i Vollard, i Kahnweiller e gli altri mercanti che da un giorno all'altro cambiarono la loro vita col denaro. I mercoledì da Apollinaire, i sabati dagli Stein, i martedì sera alla Closerie des Lilas ad ascoltare i poeti, e le notti insonni passate a fumare oppio parlando tutti insieme di arte e letteratura, con la mente lucidissima e il corpo molle, hanno i minuti contati. Ormai nel 1910 cominciano ad arrivare nello studio di Boulevard de Clichy i collezionisti americani, con tutta la loro rozzezza, e frotte di adulatori. Picasso si stava staccando lentamente dai sal¬ timbanchi per aprire la strada al cubismo, Braque sfruttava le sue idee e Matisse lo osservava attento. «Polo Nord e Polo Sud», diceva il maestro di mezza età, per dire quanto se stesso e l'altro fossero diversi. Ma persino un ingenuo come il Doganiere Rousseau si era ormai accorto della forza trascinante di Picasso. «Noi siamo i due più grandi pittori del nostro tempo», gli diceva: «Tu sei del genere "egiziano", io di quello moderno». Ma a sentire Fernand, il suo amante, circondato da amici chiassosi e pieni di nuove idee, aveva un'anima cupa e assorta che tutte le baldorie di quei giorni non rischiaravano affatto. «Del resto ha mai vissuto per qualcos'altro che non la sua arte? Quell'uomo triste, sarcastico e un po' ipocondriaco non s'è consolato ma s'è dimenticato nel suo lavoro». E si sforzava ormai di dimenticare anche i modi maldestri che gli davano un'aria metà bohémien metà operaio. Era meno trascurato, ma sulla strada della fortuna non faceva che trovare in realtà nuove occasioni di vedere il mondo attraverso una lente grigia: detestava separarsi dai suoi quadri, odiava i mercanteggiamenti dei compratori, e alle serate mondane dove andava malvolentieri lo mandava su tutte le furie l'idea che la gente si ostinasse a chiedergli spiegazioni sulle sue opere. «Una sera, al Lapin agile, dopo essere stato festeggiato, acclamato e portato in trionfo da un gruppo di tedeschi, fu afferrato da un gran desiderio di star solo. Era alla Butte e all'improvviso tirò fuori il revolver che non la¬ sciava mai. Sparò in aria. In un secondo la piazza si svuotò. I tedeschi scomparsi, squagliati, non tornarono così presto a trovarlo». Fu in quel periodo, ricorda Fernande, che i futuristi irruppero a Montmartre scortati da Marinetti di cui Apollinaire s'era infatuato. Erano esaltati dall'idea che il Futurismo avrebbe scalzato il Cubismo, e ostentavano comportamenti bizzarri nel tentativo di fare scalpore. Boccioni e Severini, in particolare, si facevano vedere al caffè vicino allo studio di Picasso con i calzini di colori vistosamente diversi. E lui doveva riderne: perché gli piaceva sempre di più essere sarcastico, soprattutto quando c'era da attaccare. «Quando invece veniva sorpreso, s'imbarazzava e non sapeva cosa dire. Aveva uno spirito tagliente», che Apollinaire e Jacob incoraggiavano, ma che era sopportabile solo a chi lo conosceva bene. «Nemici intimi» chiamava adesso i suoi veri amici Picasso, a cui sbatteva in faccia le verità più crude, intorno alla sua tavola sempre aperta a tutti, a Boulevard de Clichy. Roba da dilettanti, però, in confronto alle cattiverie di un'ammiratrice fedele come Gertrude Stein. Che appena lo vide accompagnarsi a un'altra donna, annotò raggiante la scomparsa dell'astro di Fernande: «Ha detto su Fernande una cosa stupenda, ha detto che la sua bellezza lo soggiogava ancora, ma che non ne poteva più dei suoi modi meschini». Che strega: e dire che la Olivier ne parla bene. Livia Manera «Fu Gertrude Stein a cambiarlo con dollari e lusinghe» Picasso ventenne, ai tempi della sua povertà. A destra, «La vita» (particolare), opera del «periodo blu» Gertrude Stein comperò quasi tutta la produzione di Picasso diventando la sua prima mecenate Sotto: Georges Braque

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