TROPPO COMODO SBARAZZARSENE

TROPPO COMODO SBARAZZARSENE TROPPO COMODO SBARAZZARSENE VEDENDOMI destinatario di un paio di interventi, su La Stampa, per quel che ho ritenuto di scrivere su I Liberazione intorno all'iniziativa di Eltsin di intraprendere un po' alla volta lo sloggio di Lenin dalla Piazza Rossa, devo immaginare di aver toccato un tasto dolente. Eltsin sta forse diventando un oggetto sacro: speriamo che non venga assunto a modello per la risoluzione delle nostre crisi. Sabato un trafiletto anonimo, cui ho replicato domenica: manipolava il mio scritto per più comodamente confutarlo. Domenica un nutrito capoverso nella rubrica di Mondo. Purtroppo, però, neanche questa volta ci siamo quanto a corretta resa di quanto da me scritto. Tralascio il «colore» del pezzo, che mi immagina proteso «a testa bassa e con gli occhiali appannati»: ognuno ha diritto alle sue fantasie. Tralascio, ovviamente, la proposta, che Mondo avanza, di trasformare la salma di Lenin «in un business»: ognuno ha il diritto di adorare il mercato nelle forme che preferisce. Vengo invece ai concetti. Mondo mi invita a «non scomodare» Tacito «in prò di Lenin e dei suoi infausti eredi». Ci risiamo. Nel mio intervento non ho parlato per nulla degli «eredi» di Lenin (e, oltre tutto, chi sa di storia sa quanto contrastata tra differenti aspiranti sia stata quella eredità). Ho invece ricordato un celebre passo degli Annali di Tacito, che narra quanto fosse «presente», ancora sotto l'imperatore Tiberio, l'immagine di Bruto e Cassio, nonostante il divieto rigoroso di esporla. Esempio chiaro della inutilità, anzi dell'effetto controproducente, di certi divieti «funerari». Capisco però che è comodo, nella polemica, costruirsi a proprio uso l'opinione avversaria. E, nel caso particolare, sbarazzarsi di Lenin facendone tutt'uno con lo stalinismo. Operazione storiograficamente caduca. E lo dirò ancora una volta con le parole di Vittorio Strada: «Più vicini a Lenin possono essere oggi, nel suo Paese, quelli che vengono denunciati come i più lontani da lui, quelli che non hanno perso la speranza di lottare per la verità, per quella verità che Lenin diceva conquistabile in un processo infinito» [L'Espresso, 3.2.1974). Io non saprei scrivere così «col cuore in mano», ma trovo che c'è molto di vero in questo pensiero di Strada, insigne competente. Un'ultima notazione. Quando ci si avventura a parlare del «destino» dei monumenti dedicati a grandi figure storiche, giova informarsi con ampiezza d'orizzonte. Un caso, che offro alla meditazione di Mondo, può essere quello del regime di Vichy rispetto ai simboli della Rivoluzione francese e della insurrezione vandeana. E la questione, come Mondo sa, è ancora aperta: basti pensare alla celebrazione in Vandea, il 23 settembre scorso, ospite d'onore Solzenieyn. Luciano Canfora