Si sposta sul Colle la centrale anticrisi di Marcello Sorgi

16 Si sposta sul Colle la centrale anticrisi LA DOMENICA DEL PRESIDENTE AROMA L Quirinale non si riesce a scucire di più: «Il Presidente vuole solo sapere, chiarire, ragionare, e fare il punto di una situazione delicata con i massimi responsabili». Parola d'ordine, minimizzare. Voci di circostanza dei funzionari rinviano al testo del comunicato. Eppure quell'improvvisa convocazione da parte del Capo dello Stato del presidente del Consiglio, di tre ministri, degli stati maggiori delle Forze armate, dei capi della polizia, dei carabinieri e della Finanza, dei direttori dei servizi segreti e del responsabile del comitato esecutivo, ha acceso di tensione il sonnolento pomeriggio domenicale dei palazzi romani. In qualche caso ha generato sorpresa. Perché non era mai accaduto, in un Paese pur abituato a convivere con l'instabilità, che un summit di tale importanza si svolgesse al Quirinale. Era successo, piuttosto, che il luogo dell'emergenza si spostasse via via: dal Parlamento - dove ad esempio, nel giorno del sequestro Moro, e dopo cento giorni di inutili trattative, in una sola mattina fu varato il governo di solidarietà nazionale - a Palazzo Chigi, dove appunto fu affrontata e risolta, fra le altre, la crisi di Sigonella; e dove la notte delle bombe, il 27 luglio, meno di tre mesi fa, Ciampi e il comitato di sicurezza furono vittima di un misterioso black-out telefonico. Ma l'adunata che suona di colpo al Quirinale, dopo una settimana di rivelazioni su golpe presunti o tentati, traffici d'armi, legami tra mafia, servizi, terrorismo, aggiunge a tutto un elemento di drammaticità. E' innegabile. «Anche se, vuole una spiegazione? - si lascia sfuggire a denti stretti uno dei convocati al Quirinale -, il Presidente non ha mai dimenticato di essere stato per quattro anni ministro dell'Interno. Conosce bene tutto ciò che ruota attorno al Viminale. E in certi momenti, se lo ritiene opportuno, non esita a intervenire». Per gli addetti ai lavori, insomma, non è una novità salire le scale del Quirinale. Finora il Capo dello Stato aveva preferito colloqui informali, e personali. Per esempio, com'è successo a qualcuno degli alti gradi militari convocati per oggi, due parole prima o dopo le vacanze, con la scusa dei saluti o del bentornato. Ma fra una parola e l'altra, un accenno, una domandina, o un silenzio, ma di quelli eloquenti. Era nata così, fra un incontro e l'altro, una carrellata su problemi delle Forze armate. All'orecchio del Presidente erano giunte voci di tensioni, spiegabili ma non trascurabili, ai vertici, in vista dell'avvicendamento al posto di capo di Stato maggiore della Difesa. Nella rosa degli aspiranti, in pole positìon rispetto a un elenco più ampio, figuravano il generale Buscemi, di recente destinato in Sicilia dopo una difficile esperienza in Somalia, il comandante dei carabinieri Federici e il generale Andreani, che come capo del nostro contingente di Nord-Est è l'ufficiale che ricopre l'incarico di più alta responsabilità operativa. Proprio ieri Andreani ha smentito qualsiasi collegamento del suo nome alle ipotesi di traffico d'armi che cominciano a trasparire dallo scandalo del generale Monticone e del presunto golpe ricostruito dalla sua amante. Quel che resta da capire - e che che il summit al Quirinale, si può star certi, s'incaricherà di chiarire - è se l'intreccio di alcova e cospirazione sia esploso per caso solo adesso o punti al discredito dei vertici delle Forze armate in un momento particolare. Non è un aspetto secondario. Ed è la linea-guida dell'intervento di Scalfaro in materie come queste. Il Presidente infatti è convinto che in un'epoca di transizione ed in presenza di un equilibrio politico fragile, ogni piccolo spostamento, ogni cambio di responsabilità, dev'essere analizzato, prima ancora che adottato, in tutte le sue possibili conseguenze. Da ciò dipende il rapporto speciale, oltre che personale, che Scalfaro conserva con i più alti gradi del ministero dell'Interno e con i funzionari più esposti sul fronte della lotta alla criminalità (primi fra tutti il capo della polizia Parisi e il direttore della Dia De Gennaro). C'è perfino chi dice che il Presidente ha seguito da vicino il delicatissimo avvicen¬ damento, al vertice del ministero, fra l'ex capo di gabinetto Lauro e l'attuale Gelati. Lauro, un napoletano simpatico, molto alla mano, era arrivato al Viminale con Gava e, nominato prefetto fra i mugugni del personale di carriera, era riuscito a resistere con Scotti e poi con Mancino. Probabilmente i tempi della sostituzione sono stati studiati, d'intesa con il Quirinale, per evitare o ridurre al minimo i possibili contraccolpi. Se queste sono le premesse meno note dell'interventismo presidenziale, è evidente che Scalfaro, prima di passare all'azione, ha seguito passo passo, nei giorni scorsi, gli sviluppi dell'inchiesta e dell'arresto del funzionario del Sisde coinvolto nell'attentato alla «Freccia dell'Etna», e del possibile coinvolgimento di un camorrista, con l'ipotetico avallo di un ufficiale dei carabinieri, nel sequestro Moro. Il Presidente ha chiesto, ha aspettato, ha riflettuto. Poi s'è convinto che vicende come queste, che aumentano i timori dei cittadini, non potevano restare confinate in colloqui informali. S'è consultato con Ciampi. Ha avvertito Occhetto. Poi ha diramato le convocazioni. Marcello Sorgi Una telefonata al capo del governo e poi la decisione Il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro

Luoghi citati: Sicilia, Somalia