E la tele-sinistra tuonò «Vietato vietare» atto2° di Maurizio Costanzo

24 E la tele-sinistra tuonò «Vietato vietare» atto 2° ietato Vietare, atto secondo. Martedì scorso sulle poltrone parioline del Maurizio Costanzo Show, che già ospitarono le terga dei presentatori miliardari in lotta, si è tenuta un'avvincente assemblea della sinistra televisiva in onore di Alessandro Curzi, capo della resistenza del Tg3. C'era la nomenclatura di sinistra al completo, quadro per quadro. C'erano i bonzi del cinema assistito i rivoluzionari da terrazza romana. C'erano i trasformisti ex Lotta Continua e i creativi d'apparato, i giovani satiristi di regime e i vecchi ragazzi di Paese Sera, il divo gauchiste e la sinistra divistica, il giornalista di partito e il partito dei giornalisti, più un certo numero di redattori di Curzi mascherati da anchor men di Cnn e accompagnati dai genitori, vecchie glorie del pei (o Cgil, Firn, Arci-Caccia, Uisp, Coop, Kgb, eccetera). Una bella rimpatriata di reduci del comunismo all'abbacchio, un brutto film di Scola. Per giustificare il misterioso titolo («Uno contro tutti») Costanzo aveva chiamato qualche finto oppositore. Come Alessandra Mussolini, che si scioglierà subito alla vista della familiare fisionomia di Kojak, e l'intero ufficio stampa forlaniano formato da Bruno Vespa, ex direttore del Tgl, e dai più o meno onorevoli Fontana, Casini e Carra. Autore, l'ultimo, dell'unica frase memorabile: «Non abbiamo capito che stava per crollare il Muro e quando è crollato non abbiam capito più nulla». La compagnia di dietrologi ha giocato a tirar tardi tra infinite teorie del complotto, ordito ai danni di Raitre, ma in definitiva contro i dietrologi medesimi, ciascuno convinto di costituire un pericolo per i\ Nemico, che intanto generosamente li ospitava nella sua rete. Nella vana attesa dell'ideologo Guglielmi, che stava trattando con Demattè la pace separata, si è finito al solito parlando di donne. Con Citto (Maselli, ndr) che ricordava di quando «Gillo» (Pontecorvo, ndr) «bello e partigiano» conquistava tutte le compagne, lasciandone giusto qualcuna al gagliardo «Sandro» (Curzi), che ci dava dentro da matti. Perché non si dica poi che un certo turgore della politica è esclusiva della destra. Bossi, tiè. E' stata questa la sintesi di un'altra settimana di furibonde chiacchiere intorno al cadavere della Riforma Rai. La chiacchiera più gettonata del mese è la chiusura della Terza Rete, la migliore della Rai lot¬ tizzata ma anche l'ultimo baluardo di quella. Il pds vi si oppone, a meno di una contropartita adeguata. Per esempio, il trasloco in massa di Santoro & compagni a Raidue, dove ormai non si trova un socialista neanche a pagarlo. D'altra parte, la spinta alla riforma, se mai c'è stata, è già evaporata nell'infinito bla bla dei ciarlieri professori - fieri dilettanti del ramo -, e soprattutto dietro alle vicende familiari di Gianni Locatelli. S'è già capito insomma che da qui alle elezioni non si tocca un posto, a Saxa Rubra come a Crotone. Il resto è pettegolezzo. Intanto si perdono di vista le cifre, che forse interessano al pubblico pagante più del teatrino di pareri. Cifre grottesche. Mille dirigenti, 1400 giornalisti, 13 mila dipendenti e 27 mila collaboratori a libro paga. Non se li può permettere nessuna tv al mondo. E i debiti aumentano di ora in ora: siamo a 450 miliardi. In condizioni molto meno drammatiche, il governo francese ha venduto la prima rete (Tf 1) ai privati, l'inglese Bbc e la tedesca Ard hanno approvato feroci tagli; la spagnola Rtve ha appena liquidato un terzo dei dipendenti e bloccato tutti gli appalti, con l'implicita minaccia di rispedirci a casa Japino e la Carrà. Davanti a prospettive così poco allegre, suona già curioso che il pensionamento di Curzi, sedicente paladino delle notizie («tu chiamale se vuoi, emozioni» cantava Battisti) o i dubbi amletici di Guglielmi e Santoro, scatenino guerre di religione. Ma ancora più curioso, per non dire indecente, è che i tg siano ridotti a tribunette sindacali, gravide di comunicati fiume, funesti resoconti assembleari, inopportuni moralismi sulle presunte «penne sporche» e strazianti appelli di mezzobusti da riporto che hanno scambiato il cadreghino lottizzato per la trincea del Piave. I tanti giornalisti di partito insediati alla Rai, ma anche altrove, dovrebbero capire da soli che è arrivato il momento di tacere per un po', nella speranza (loro) che nessuno li costringa sul serio a restituire parte del bottino di stipendi e carriere accumulato grazie alla tessera. Non sarà un gran sacrificio: hanno parlato per quarant'anni. Tg e reti Rai erano le seconde case dei partiti. Prima o poi qualcuno dovrà chiuderle. Come diceva Totò? Arrangiate- Curzio Maltese jse^J

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