Dopo Matisse le «rosse» di Ferrari di Nico Orengo

Dopo Matisse, le «rosse» di Ferrari I bolidi storici di Maranello al Museo d'Arte Moderna di New York Dopo Matisse, le «rosse» di Ferrari Un mito a 4 ruote avvera il sogno dei Futuristi mi LIA Ferrari va al Moma. Il Museo d'Arte Moderna di New York offre il cuore di Manhattan alle ros I se di Maranello. Dai pri- di novembre ai primi di marzo del prossimo '94. Sono in volo, in questo momento, sospese sull'oceano, una Berchetta 166 del '49, la Formula 1 con la quale Alain Prost nel '90 portò a casa la centesima vittoria delle «rosse» e un modello di F. 40. Ma al Moma approderanno anche disegni, progetti, fotografie e tutta la «bibliografia» del grande mito a quattro ruote. L'ultima mostra che il Moma aveva dedicato ad un grande europeo era stata per Matisse, il pittore del lungomare di Nizza e dei santi per la cappella di Vance, delle odalische e delle primaverili ragazze musicanti. Ora è la volta di un simbolo forte del Novecento, qualcosa che rappresenta, in maniera concreta e astratta, il mito marinettiano della velocità. Dai postimpressionisti ai futuristi. Da Matisse a Marinetti. Artigianato e arte, e li, vicino al Moma, c'è anche Tiffany. Artigianato, arte, gioielleria. E' un cerchio stretto. E la Ferrari è tutto questo, manufatto che è un gioiello di proporzioni, di dinamica, un'idea in movimento, di iridescenza, un pulviscolo di Balla e Boccioni. Una forma che si fa velocità, una velocità che, in quiete, ritorna forma. L'America non ha capito, ancora, la Formula 1, ama le Ferrari sportive che corrono in Miami Vice, ma crede nella Formula Indy. Questione di regolamento, di cilindrata, questione di dimensioni. Una civiltà on the road, come quella americana, ama la lunga corsa: il cavallo, qualcosa che è più vicino ad una dimensione camionistica. Eppure è proprio la velocità che ha cambiato la sua dimensione, che è riuscita a mettere in contatto periferia e centro. Il cinema e la velocità han costruito l'America. Se è così la mostra della Ferrari al Morna può considerarsi una sintesi di quel connubio: arte in movimento veloce. Molti cavalli, un «mucchio selvaggio» nel motore. Quanto avevano già capito, decenni fa, i pittori della pop art, da Warhol a Rauschenberg, e rivisitando in chiave fumettistica i grandi feticci della nostra contemporaneità. E la Ferrari ne è sicuramente un interprete, come la grande Marilyn Monroe o la bottiglia della Coca-Cola. Elegante, sinuosa, vibrante... Non c'è aggettivo seducente o aggressivo che non le si addica. Non c'è limite, nei suoi confronti, ad una partigianeria viscerale. Ma razionale anche, perché rappresenta, come altri manufatti italiani, nel tempo, una chiesa romanica, un gozzo marinaro, una volta di Nervi o un segno di Munari, l'eleganza naturale e culturale, un modo di sentire la complessità nella semplicità. Una Ferrari, nelle luminose sale del Moma, attirerà sicuramente visitatori ai quali piace non solo l'arte ai muri ma anche quella di strada. Ferrari in mostra e Bacon in garage? Perché no. Si può. Nico Orengo La civiltà americana «On the road» riscopre i cavalli. Ma nel motore Enzo Ferrari: le sue «rosse» tra i capolavori dell'arte La Ferrari 643 di Alain Prost

Luoghi citati: America, Manhattan, Maranello, New York, Nizza